La Toscana e le grandi opere

Una lettera da Firenze che, attingendo alla storia originale della Toscana, mette in evidenza il pericolo che corre l’ambiente davanti alle grandi opere che non tengono conto della priorità da riconoscere alle fonti rinnovabili
Cantiere grande opera Foto Bianchi/LoDebole LaPresse

Ca’ di Landino, un piccolo borgo posto esattamente a metà strada tra Firenze e Bologna, ebbe il suo momento di notorietà al tempo del ventennio fascista.

Poi fu dimenticato, a favore della più conosciuta Castiglion dei Pepoli, ed oggi è tornato ad essere un minuscolo borgo, inserito in una splendida cornice naturale.

Anche Castiglion dei Pepoli merita una visita. Qui, nel 1899, fu istituita la prima Festa degli Alberi, che a distanza di più di un secolo trova innumerevoli sostenitori.
A promuovere quella festa, nella consapevolezza del valore aggiunto che i monti e i boschi dell’Appennino rappresentavano per il territorio tosco/emiliano era stata la società dei monti e delle selve.

Erano anni in cui si cominciava a capire che la natura doveva essere protetta concretamente. Infatti, a un paio di chilometri da Castiglione, per l’appunto a Ca’ di Landino, sarebbe iniziata di lì a poco un’avventura straordinaria, che avrebbe trasformato completamente il territorio circostante.

Ca’ di Landino, fu il borgo prescelto per la costruzione della Direttissima, la prima vera grande opera della storia italiana, un tracciato ferroviario di 18 km in galleria, a 300 metri di profondità, che avrebbe unito davvero il nord Italia con la restante parte del Belpaese.

L’opera fu realizzata, con enorme dispiego di capitale finanziario e con ingente perdita di vite umane (tanti minatori sopravvissuti contrassero la silicosi o il tumore); e fu terminata nel 1929.

L’opera fu accompagnata da polemiche a non finire, perché Firenze e le città del nord erano decise a portarla avanti ad ogni costo, per incrementare il già enorme volume di affari esistente. Invece le piccole cittadine, come Pistoia, non vedevano di buon occhio la grande opera, per via dell’eccessivo numero di funerali che la accompagnavano. Anche Cesare Guasti ci dà apertamente testimonianza di questa diatriba. Ma le lobbies avranno la meglio.

Eppure, Firenze, la mia città d’origine, aveva, per secoli, avuto grande cura del suo territorio. A Firenze, nel Duecento, c’erano già centinaia di taverne che davano ospitalità a pellegrini e turisti. Era la città più visitata d’Europa. E non erano solo gli splendidi monumenti ad attrarre una massa di persone, ma anche il fiume e le colline, che con la città si fondevano in mirabile armonia.

Ma non era solo Firenze. Che dire del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena?  Le fantastiche pinete versiliesi furono realizzate da lui, che si era circondato di valenti consiglieri, in grado di dare realizzazione ai progetti che gli stavano a cuore.

Con Pietro Leopoldo il granducato crebbe sotto il profilo economico, dato che i passi appenninici che dalla Toscana dirigevano a nord, permettevano di aprire nuovi e fiorenti mercati. Ma tutto si fece con grande amore verso la bellezza del territorio; e al tempo stesso il granduca dotò la Toscana di nuovi diritti civili, che la resero la prima nazione al mondo ad abolire la pena di morte e la tortura.

A cavallo tra Otto e Novecento, tuttavia, il quadro, come si è detto, era cambiato drasticamente.  Nella nuova società di massa, i potentati economici privati, condizionavano pesantemente le scelte politiche dei governanti, anteponendo gli interessi personali al bene comune.

L’instabilità era acuita dal fenomeno del trasformismo, che esacerbava la rabbia delle popolazioni verso i partiti.

Gruppi di questi, infatti, iniziavano a porre in secondo piano i valori comuni di riferimento e a valutare invece opportunità e offerte che le varie coalizioni potevano fare, cambiando casacca a seconda della convenienza economica.

La politica cominciò a declinare vistosamente, per poi inabissarsi con le due guerre mondiali.

Con il secondo dopoguerra cominciava, anche in Toscana, una regione economicamente importante nella nuova stagione repubblicana, la dittatura del PIL.
Il Prodotto interno lordo favoriva molto la crescita; assai meno lo sviluppo.
E questo perché, soprattutto a partire dagli anni settanta, tale crescita non era adeguatamente accompagnata dallo sviluppo dei diritti civili fondamentali: diritto al lavoro, diritto all’istruzione, diritto ad un salario equo, diritto ad un ambiente salubre, ecc.

I nodi veri della realtà sociale non erano mai davvero coraggiosamente affrontati dai governi, di nessun colore politico. E si può dire che oggi, nel 2022, le pandemie varie (Covid, guerre mondiali a pezzi, disuguaglianze insostenibili, catastrofe educativa) abbiano portato a una situazione nuova, alla quale non eravamo preparati.

Ma stiamo sempre a dibattere di grandi opere, che le lobbies odierne vorrebbero imporre alle comunità.  Ne sono esempi le lotte passate di interi quartieri contro l’ inceneritore fiorentino, quelle presenti contro il rigassificatore di Piombino, la stucchevole vicenda in corso legata ai due aeroporti di Pisa e di Firenze.

Eventi che fanno sorgere spontanea una domanda: Perché si insiste tanto per portare avanti grandi opere che certamente metterebbero a repentaglio oasi ambientali di enorme pregio, compromettendone fauna e flora con ulteriore aggravio di emissioni nocive? Un dato emerge con nettezza: a fare la voce del padrone, in questi scenari, sono i sostenitori delle energie fossili.

Si continua a non capire che tali risorse pongono i governi sotto costante minaccia di ricatto e pertanto in condizione di oggettiva fragilità.
Sono le energie fossili che hanno guidato l’antropocene, termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, diviene fortemente condizionato, a tutti i livelli, dalle attività umane. 

È l’antropocene che provoca i guai che ormai conosciamo bene, come il riscaldamento climatico, la siccità, ecc.  Non si ascolta la pressante richiesta, che arriva da numerosi premi Nobel e anche da significative porzioni della società civile, di favorire ed incentivare le energie rinnovabili.
In conclusione, da toscano, vorrei che tutti quanti prendessimo coscienza che non si può più scherzare su queste tematiche.

Tutta l’umanità, non solo la mia Toscana, deve recuperare un atteggiamento di cura e di rispetto della natura.

Non si può più fare politica anteponendo gli interessi personali al bene comune. Tutti noi siamo chiamati a una nuova presa di coscienza. E chi si impegna in politica ha una responsabilità maggiore.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons