La terza guerra mondiale di Dürrenmatt
Mi è capitato tra le mani un romanzo breve di Friedrich Dürrenmatt, recentemente ristampato da Adelphi: La guerra invernale nel Tibet. Mi interesso da sempre al Tibet, quindi ho sollevato il libretto rosso dallo scaffale della libreria e l’ho sfogliato. Lo sguardo è capitato su un’espressione, «terza guerra mondiale», riportata recentemente in voga, più precisamente nel settembre 2014, a Redipuglia, dal papa, con la “fortunata” aggiunta: «a pezzi». La guerra di Dürrenmatt, invece è intera, è globale.
Scrive il drammaturgo: «Intendo confutare l’assunto secondo cui la terza guerra mondiale sarebbe dovuta alla mancanza di un’amministrazione in grado di impedirla. In realtà la guerra è scoppiata perché un’amministrazione non poteva ancora esistere» (pp. 30-31).
Come a dire, la guerra è scoppiata per negligenza e solo dopo si è corsi ai ripari. A scrivere queste parole è un capo-mercenario ridotto in sedia a rotelle in una caverna del Tibet, dove si sono rifugiati i brutti ceffi della “amministrazione”, mercenario a cui sono state amputate le mani sostituite da pinze e punteruoli con cui imbraccia un mitra, sparando a chiunque si avvicini così come alle ombre loro che vengono proiettate sulle pareti della galleria, riproponendo il mito platonico della caverna (la virtualità fa paura più della realtà). Ma coi punteruoli riesce pure a scrivere, incidendo sulle pareti la storia della terza guerra mondiale. Storia, appunto, ripresa nel romanzo. La prosa di Dürrenmatt è cinica, spietata, allucinata, pornografica per l’esposizione della morte nuda, non tanto del sesso.
«Eravamo convinti che la guerra, se mai fosse scoppiata, sarebbe stata di tipo convenzionale, ma non credevamo veramente a un conflitto (…) perché noi la bomba l’avevamo fabbricata appunto per impedire una guerra convenzionale» (p. 51).
E più avanti: «Gli uomini sopravvissuti ai bombardamenti – se di sopravvivenza si può parlare – attribuirono la responsabilità della terza guerra mondiale a tutto ciò che riguardava la tecnica e la cultura» (p. 57). Tecnica e cultura. Non è quello che stiamo vivendo? Il trionfo della tecnica, orba di cultura umanistica, ha portato alla progressiva eliminazione dell’umanità e dell’umanesimo. Per lasciare campo libero agli strumenti, alle tecnologie sempre più perfezionate e autosufficienti, virtualità che hanno poco di umano. E il nichilismo pratico, così lontano da quello filosofico di Nietzsche, ha svuotato la verità della concretezza dell’amore, per lasciarsi ingabbiare nel business della tecnica.
Credo ci sia poco di comune tra Dürrenmatt e Bergoglio. Soprattutto la speranza è (quasi) assente nel discorso del drammaturgo. Ma sulle cause della terza guerra mondiale credo che vi siano vicinanze.
La tecnica lasciata a sé stessa disumanizza e svuota la vita del suo senso. Nega Dio, perché non ha più “la domanda di Dio”, che il nichilismo filosofico invece manteneva. La terza guerra mondiale non dice «Dio è morto», ma «Dio non m’interessa».