La terra dell’abbastanza
Ancora un film di emarginazione, su una Roma periferica e giovani vite ammaliate dal male come unica via di rinascita. Un tema noto, trattato talvolta in modo violento e pericolosamente imitabile, come la serie Gomorra, senza una vera possibilità di redenzione. Un Sud-Italia perduto, così appare.
Il film dei fratelli D’Innocenzo, presentato a Berlino, è ancora in sala e vale la pena vederlo per chi cerca qualcosa di diverso dai prodotti horror o commerciali in giro. Non per subirsi l’ennesimo racconto di autodistruzione, ma per la vena dolorosa, lacrimosa verrebbe da dire, di una storia ferocemente drammatica eppure con un minimo spiraglio di possibilità. Mirko e Manolo (Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano) sono due ragazzi molto amici, che vivono nella allucinata periferia romana. Mirko è sensibile e riflessivo, Manolo più superficiale.
Alle spalle famiglie distrutte, e una gran voglia di amare e di essere amati. La loro vita cambia quando investono di notte un passante che però si rivela essere il pentito di un clan che gestisce gli affari loschi della zona. Spinti dal padre di Manolo – il film apre diversi spunti sul cinismo degli adulti riguardo ai “sogni” giovanili –, i due entrano nel giro sporco, guadagnano, sentono di aver “svoltato” nella vita.
Nessun rimorso per quello che fanno, totale assenza di coscienza. Ma non continuerà, perché i due precipitano in una spirale dove il male e la morte parrebbero avere l’ultima parola. È una odissea tragica con scene commoventi di dolore straziante, che i registi hanno la misura di non esagerare, come pure nel non “mostrare” la violenza, che è cupa, inattesa, crudele.
Opera cruda, di desolante stanchezza delle anime dei giovani e degli adulti – l’addio di Mirko alla madre –, è anche un inno all’amore e alla vita cercati dalla parte sbagliata, ma quanto mai necessari.
Il cinema ancora una volta indaga un mondo noto ai media per i fatti di morte, ma senza approfondirne le ragioni. I due registi invece gettano uno sguardo commosso sulla giovinezza privata dei sogni. Su di loro i genitori possono solo piangere, sperando di poter anch’essi in qualche misura ricominciare a vivere.