La teoria gender nella legge sulla Buona scuola?
Il disegno di legge sulla Buona scuola (Ddl n.1934) non aveva ancora ottenuto la fiducia al Senato (dopo la tormentata approvazione del cosiddetto ‘maxiemendamento’ del 25 giugno) che già molte associazioni di genitori si sono messe in allarme, complici forse taluni messaggi circolati tramite sms (anche a ridosso dell’avvenuta approvazione) e pubblicati sui network, nei quali si invogliava a contestare il ddl, in quanto “contiene l’educazione gender obbligatoria”.
In verità la stesura originaria del disegno di legge – nient’affatto scalfita o modificata sul punto specifico dal maxiemendamento– già conteneva (e tuttora contiene) disposizioni per l’attuazione di principi di pari opportunità, promuovendo in ogni scuola di ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi nonché la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche della legge n.119 del 2013. Orbene quest’ultima a sua volta è stata emanata per dettare “disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”.
E a quanto sembra di capire da una lettura piana del testo di legge richiamato, non pare che in essa siano riportate ricostruzioni ideologiche a supporto del genderismo o idee ad esso affini. Anzi, tra gli obiettivi che la legge n.119 si propone, vi sono quelli di prevenire “il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne e nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali" nonché la promozione di "un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere” oltre che “la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo".
Insomma non sembra che il richiamo alla legge n.119 (operato dal Ddl, peraltro nell’ambito di previsioni che riguardano il piano triennale dell’offerta formativa) sia poi così disastroso e deleterio, anche perché si tratta di un provvedimento già in vigore da un po’ e che tra l’altro punta a dare attuazione ad un Piano straordinario d’azione (appunto “contro la violenza sessuale e di genere"), predisposto in sinergia con l’Unione europea per il periodo 2014-2020. Semmai, pertanto, le apprensioni e le contestazioni si sarebbero dovute già generare e sollevare – se ritenute fondate – con riguardo alla stessa legge n.119: il che non sembra che sia di fatto accaduto.
Che poi (come qualcuno ha lasciato intendere) dal richiamo ai concetti qui ricordati si passi, nell’esercizio in concreto del compito educativo affidato alle cure di ogni formatore, ad un loro utilizzo ‘strumentale’ e politicamente non corretto, finalizzato a dare ingresso a ideologie destabilizzanti, culturalmente e socialmente pericolose, è un altro problema,certamente preoccupante e di non agevole soluzione.
Che però va affrontato sul piano, preventivo, della stessa ‘formazione’ degli educatori affinché il mandato educativo riposto nelle loro mani conduca realmente – anche attraverso l’utilizzo di idonei libri di testo – ad affrontare in maniera corretta e costruttiva le problematiche cui il Ddl sulla ‘buona scuola’ fa indiretto riferimento richiamando la legge n.119 e a sensibilizzare gli studenti (e la collettività in generale) su di esse; e non semplicemente stigmatizzando il richiamo a quella legge stessa.