La teoria del gender
Oggi, da più parti si tende a far riferimento alla “teoria del gender” (gender theory) che, soprattutto a livello mediatico sta rapidamente diffondendosi, pur suscitando, fin dal suo apparire, reazioni abbastanza controverse.
Scegliendo il termine gender (genere) invece di uomo e donna, che secondo i teorici del gender sarebbero troppo dipendenti dalla nozione di natura, in questo approccio vengono impiegati tre concetti:
– quello della costruzione sociale della sessualità, attraverso il maschile e il femminile, che non necessariamente corrisponde al sesso biologico
– quello degli orientamenti sessuali a partire dai quali è possibile accettarsi
– quello dei rapporti di potere tra uomini e donne, unitamente ai ruoli prescritti agli uni e agli altri.
Secondo tale teoria la distinzione tra sesso (sex) e genere (gender) sarebbe necessaria per cogliere l’aspetto storico e culturale delle differenze tra i sessi, così come si manifestano nella diversità tra i ruoli maschile e femminile che influenzano tanto le caratteristiche soggettive quanto quelle legate alla sfera pubblica o privata, e si originerebbero non dalla natura, bensì dai diversi contesti socio-politici, susseguitisi nel corso dei secoli e capaci di stabilire i giochi di potere tra i sessi. In tal senso, modificando i fattori sociali, politici e culturali sarebbe possibile modificare, non già i sessi – che restano legati a fattori genetico-biologici – ma la concretizzazione storica del loro ruolo pubblico (e/o privato).
Tale visione, pertanto, rimanda a quelle correnti (sex-gender system) che affermando la distinzione tra sesso e genere, indicano col primo termine (sex) la determinazione biologica reale, mentre con il secondo (gender system) si indica una costruzione culturale, sociale e politica che contempla una varietà di risorse, ruoli e poteri, che possono presentarsi diversamente distribuiti tra uomini e donne, a seconda dei contesti storico-culturali. Infatti, l’identità di genere (gender identity) è apparentemente il prodotto di una complessa interazione tra tre fattori: (1) una predisposizione genetica; (2) fattori fisiologici e (3) il processo di socializzazione (Bullough – Bullough 1993, 313)
In realtà, nella società contemporanea e alla luce di un approccio strettamente fenomenologico, non può non riscontrarsi una duplice realtà: da una parte, appare evidente come debba essere confermato che, da un punto di vista genetico e biologico, i sessi siano e rimangano due, almeno per i dati di ricerca a oggi a disposizione della comunità scientifica; dall’altra, nell’ottica del quadro teorico-culturale di gender, le condotte affettivo-sessuali non sarebbero riconducibili semplicemente al sesso genetico del soggetto, bensì alla costruzione del suo genere, inteso come categoria non anatomica ma culturale (Lingiardi 1989, 124).
Da qui, anche la richiesta di una regolamentazione delle unioni civili (con una estrema varietà di regole e modelli di disciplina tra gli Stati, riguardanti coppie eterosessuali e omosessuali) e, come già in alcuni Stati, del matrimonio tra persone dello stesso sesso (in tutto il mondo una delle principali rivendicazioni della militanza omosessuale).
La presa di distanza da una origine esclusivamente organicista, quindi, ripropone la necessità di considerare lo sviluppo della condotta, dell’orientamento e della maturità sessuale all’interno di una dinamica di libertà, come afferma la teoria di gender. Ma è qui che è doveroso entrare in un discorso più articolato e uscire da una semplice interpretazione della libertà come arbitrio assoluto per un concetto di libertà entro un proprio quadro di riferimento e di una gerarchia dei valori. Secondo la visione più volte indicata in questo libro, se non si potrà prescindere da una visione della persona come unità bio-psico-socialee se è altrettanto innegabile l’influenza sociale sullo sviluppo della personalità, è vero anche che essa non è unicamente il risultato delle induzioni sociali come sostengono gli ideatori del gender e che, quindi, per il pieno compimento della persona e della sua stessa natura umana essa non potrà come tale non iscriversi nello spirituale e nel morale (Anatrella 2012, 137-138).
Pertanto, lo spostamento da una visione statico-determinista di tipo biologistico a una più dinamico-processuale di tipo psico-socio-culturale, dovrebbe garantire il rispetto dell’autodeterminazione, a meno che non si registrino influenze coercitive sul soggetto. In tal senso, ad esempio, nel rispetto della dignità individuale e della libertà-responsabilità di scelta, se in linea di principio possiamo comprendere che possa verificarsi il passaggio da un gender eterosessuale a uno omosessuale, per coerenza dovremmo anche ammettere che possa esistere il passaggio inverso.
In tal senso, ogni individuo ha il diritto di affermare se stesso nella propria condotta di genere, potendo fare riferimento ai propri riferimenti religiosi e/o ideologici, nel rispetto delle leggi vigenti e dell’autonomia altrui. Chiaramente tale affermazione di sé sarà tanto più matura, quanto più il soggetto sarà consapevole delle motivazioni sottese alle proprie scelte; ciò in quanto, da un punto di vista strettamente psicologico, non sarà importante semplicemente fermarsi alla legittimità di una condotta, ma interessarsi anche se questa è coerente con i suoi principi.
A questo riguardo, pur comprendendone le motivazioni, non possiamo non registrare che, mentre c’è un’ampia disponibilità, sia istituzionale sia mediatica, a un orientamento di genere di tipo omo-, bi- o tran-sessuale, ecc., lo stesso non avviene nei confronti di un serio percorso verso l’eterosessualità. Il rischio è che, per riparare a discriminazioni avvenute nel passato nei confronti degli omosessuali, si metta in atto una nuova forma di discriminazione e chiusura. Ma, nell’esperienza umana, la somma di due errori non fanno una cosa giusta!
Domenico Bellantoni, RUOLI DI GENERE, per un’educazione affettivo-sessuale libera e responsabile (Città Nuova, 2015)