La teologia della liberazione secondo Francesco
Bergoglio non era un adepto della Teologia della Liberazione (TdL). In Argentina era prevalso un altro tipo di riflessione e di prassi, denominato Teologia del Popolo, che ha avuto i suoi più significativi rappresentanti in Lucio Gera e Juan Carlos Scannone. Una teologia diversa (non in opposizione) dalla Teologia della Liberazione (TdL) classica, di Gustavo Gutierrez e Leonardo Boff, con la quale ha dialogato conservando caratteristiche differenti.
La TdL mette l'accento sull'aspetto sociale e quindi popolo è visto come classe. Gli argentini invece interpretano il popolo dal punto di vista culturale, come nazione, e identificano nei poveri coloro che conservano maggiormente questa identità. Con una connotazione fortemente religiosa, perché la pietà popolare sta al cuore della loro cultura.
Francesco è imbevuto di questo pensiero, che manifesta in mille modi. Basta pensare ai nn. 122-126 della Evangelii Gaudium, dove invita a incoraggiare e rafforzare la pietà popolare tipica dell'America Latina. Non tutti hanno condiviso questa linea di pensiero, in particolare alcuni rappresentanti della TdL, almeno all'inizio: le hanno rimproverato di essere poco impegnata sul piano sociale e politico
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Una risposta chiara e forte l'ha data lo stesso Francesco nel discorso tenuto a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, parlando ai rappresentanti dei movimenti popolari. Non mi soffermo sui contenuti, che sono commentatati in un altro testo, ma al tono e al metodo.
Il tono. Francesco usa un linguaggio inusitato, che può scandalizzare certe orecchie delicate: “La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch'io desidero unire la mia voce alla vostra: terra, casa e lavoro per tutti i nostri fratelli e sorelle. L'ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pela, vale la pena di lottare per essi”. Notate: lottare.
“Vogliamo che si ascolti la vostra voce, perché infastidisce e perché si ha paura del cambiamento che esige”. Un'espressione “rivoluzionaria”? Non concorda certamente col cristianesimo da salotto, spiritualista, “moderato”. E Francesco precisa:”Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in essere addomesticati e inoffensivi”.
“Si sente il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea chiamava lo 'sterco del diavolo' “. Credo che è la prima volta che un papa usa questa espressione pubblicamente. E per definire l'idolo più adorato, il denaro che domina e schiavizza. Permettete un rapporto. Francesco ha detto ai preti che devono avere l' “odore delle pecore” . Quale odore avranno quelli che adorano il denaro?
Il metodo. Sta in una frase: “La Chiesa non può e non deve essere aliena da questo processo nell'annunciare il Vangelo”. Non è una novità in Francesco e tanto meno nella Dottrina Sociale della Chiesa, che ha affermato ripetutamente la valenza sociale e politica del Vangelo. Ma certo è forte la dichiarazione di solidarietà con “quanti si organizzano e lottano per superare l'ingiustizia”. Nel Vangelo sta il motivo dell'impegno e l'impegno stesso. Francesco non sta in mezzo al guado, si schiera: contro il sistema socioeconomico che schiavizza l'uomo, che esclude, e, dall'altra parte, si mette con tutti coloro ai quali “oserei dire che il futuro dell'umanità è in gran parte nelle vostre mani”.
Un'affermazione di commuovente fiducia e coraggio. Lo dice dopo una lunga enumerazione di lavoratori e lavoratrici e di membri poveri della società, dove dà l'impressione di guardarli negli occhi, scoprendone la sfiducia nel futuro. La risposta sono loro, nella loro capacità di organizzazione in un rovesciamento della logica imperante, che genera “nuove forme di colonialismo”.
E, nella linea della Teologia del Popolo, propone di mettere l'economia al servizio del popolo e di unire i popoli. Perché, conclude, “la nostra fede è rivoluzionaria”. Se questa non è teologia della liberazione…