La tentazione del non-voto
In un recente sondaggio riportato sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri, gli intervistatori della Emg Acqua hanno chiesto a 1.778 persone come voteranno il prossimo 4 marzo. Al di là dei voti ai partiti, alcuni risultati sono in linea con le ricerche precedenti: le schede bianche e nulle sarebbero il 2,4%, gli indecisi il 14%, mentre gli astenuti il 32,8%. Il fronte degli arrabbiati e delusi della politica – il cosiddetto “partito degli astenuti”- conta ormai circa 15milioni di persone. Un numero impressionante di cittadini che non si sentono ascoltati, compresi e rappresentati dalle forze politiche.
La scheda bianca o nulla, come pure l’astensione, sono un preciso strumento politico. Lo ha dimostrato di recente il presidente della Lega nazionale dilettanti Cosimo Sibilia, in occasione delle elezioni della Figc. «Dopo aver cercato in tutti i modi di raggiungere accordo per una convergenza – ha spiegato – non c’è la condizione di poter procedere. Chiedo ai delegati della Lnd di votare scheda bianca». Il risultato è su tutti i giornali: la Federazione italiana gioco calcio è stata commissariata, un’altra sconfitta per tutti gli amanti di questo sport.
Cosa imparare da questa lezione in vista delle politiche? Ha scritto Beppe Severgnini sul Corriere: «Se il 4 marzo il non-voto battesse tutti i record se ne parlerebbe molto. Per una settimana. Poi si tornerebbe a ragionare su chi ha più voti, più parlamentari, più possibilità di formare un governo». Cioè, il non-voto – pur legittimissimo – lascerebbe in mano a pochi la possibilità di decidere per tutti e gli effetti della protesta plateale finirebbero presto nel dimenticatoio.
Eppure, proprio i 15 milioni di sfiduciati potrebbero fare la differenza e più che colpevolizzare chi sceglie di non votare, i politici farebbero meglio a cercare di capire il perché della disaffezione di elettori che non sentono la discussione partitica vicina ai propri bisogni, che non apprezzano le persone che dovrebbero votare, che non accettano alleanze talmente fragili da non poter nascondere la propria natura opportunista.
«Va registrato – ha affermato in un recente incontro in vicariato a Roma il vescovo di Faenza Modigliana Mario Toso, già segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace – un crescente astensionismo, dovuto ad una preoccupante divaricazione tra élite e popolo. Come ha sottolineato più volte Gustavo Zagrebelsky, quando l’astensionismo di massa supera il cinquanta per cento, la democrazia non è più tale e si trasforma nell’autocrazia di una parte della società sull’altra».
Ma come rimotivare la partecipazione politica, come dare ai cittadini la possibilità di esprimere il proprio punto di vista? La crisi dei partiti per Toso non deve farci dimenticare che «la rivalutazione della politica è sempre un fatto collettivo. Passa attraverso la ricomposizione dell’anima della società civile, aiutandola a ricostruire una coscienza comune, in un contesto di molteplici culture e religioni». A ciò si oppone però il neoindividualismo libertario, privo di un orizzonte etico, che «infetta il comportamento dei cittadini e dei gruppi, i quali non si riconoscono nell’orizzonte più vasto della fraternità e del bene comune. Se si vuole essere presenti ed influenti nell’arena politica – sottolinea Toso – è necessario conoscere e saper utilizzare i nuovi mezzi di coagulo degli interessi, di discussione dei problemi, di verifica delle opinioni, nonché di reperimento di fondi (fundraising), secondo i nuovi scenari legislativi e comunicativi».
I partiti devono tornare ad essere canali di comunicazione e di raccordo tra società civile ed istituzioni ed è fondamentale «una più attiva e responsabile partecipazione alla gestione della cosa pubblica» da raggiungere attraverso una formazione sociale dei cittadini e delle élite. «Non basta affermare che occorre alimentare la partecipazione sociale dal basso»: bisogna intervenire affinché venga favorita la partecipazione di tutti alla vita democratica attraverso mezzi inediti, all’utilizzo più intelligente di quelli messi a disposizione dalle tecnologie dell’informazione, al rinnovamento dei partiti, in modo che, conclude Toso, possano raccordarsi più efficacemente con i movimenti e le organizzazioni che si sviluppano dal basso.
Non si tratta, tuttavia, sottolinea il docente della Lumsahricordando Alcide De Gasperi, «di educarsi ai buoni sentimenti, non è questione di fingere di vivere nel Paese delle meraviglie. “Nei momenti più decisivi – scriveva lo statista – quando l’elettore democratico è chiamato ad esercitare il diritto di voto, deve essere incorruttibile in confronto alle lusinghe dei demagoghi e dei ricatti dei potenti e deve vigilare perché la sua coscienza morale non venga sommersa dalla marea spesso istintiva e irrazionale della massa”».
A tal fine è fondamentale l’esercizio della pazienza. «Non si tratta – spiega Tognon – di stare calmi: si tratta di esercitare la speranza». Scriveva infatti De Gasperi: «Non abbiamo il diritto di disperare dell’uomo, né come individuo né come collettività, non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli».
«Non abbiamo il diritto di disperare! La pazienza – conclude Tognon – è la virtù di chi rifiuta di condannare gli uomini e la storia perché sa riconoscere come – in mezzo agli errori, alle miserie e alle colpe– ci siano anche dei germi e delle attese di bene che non devono essere traditi, ma nutriti e incoraggiati. Ecco dunque qual è, secondo De Gasperi, “la virtù più necessaria al metodo democratico”: la pazienza di chi accetta di lavorare in vista di frutti che arriveranno, ma dei quali non conosce i tempi e i momenti».
Sull’argomento leggi anche la proposta del “patto eletto-elettori” proposto dal Movimento politico per l’unità.