La tassa del Tempio
Per lo studio della povertà di Gesù è interessante vedere se gli apostoli nella loro cassa possedevano duecento denari o no. Questo fatto ci fa percepire una situazione concreta di un momento della vita di Gesù. Gli esegeti interpretano in maniera diversa le parole di Filippo: Dobbiamo andar noi a comperare duecento denari di pane e dar loro da mangiare? (Mc 6,37), e quelle di Giovanni: Duecento denari di pane non sono sufficienti perché ognuno ne possa ricevere un pezzo. Per alcuni, come Lagrange, quella di Filippo è una domanda retorica, essi cioè non hanno i duecento denari. Per altri, come Schnackenburg, è proprio la cifra che essi possiedono e che secondo Giovanni è insufficiente per saziare gli ascoltatori. Ma andiamo un po’ più in profondità: ci accorgiamo che gli ascoltatori non sono cinquemila ma, secondo Matteo, sono cinquemila più le donne e i bambini. Secondo il grande biblista protestante Jeremias, che segue la versione di Marco, restringendo il numero a cinquemila, duecento denari erano a quei tempi sufficienti proprio per quel numero di persone. Infatti, con un denaro si potevano comperare circa tredici litri di grano come si misurava allora con i quali si potevano fare circa tredici chili di pane. Tredici per duecento denari da duemilaseicento pani da un chilogrammo. Quindi, con duecento denari si poteva dare più di mezzo chilogrammo di pane a ciascuno dei cinquemila presenti. Se invece fossero stati, con le donne e i bambini, in numero di diecimila (poiché la possibilità di spostamento delle donne e dei bambini era certamente inferiore a quella degli uomini), si sarebbero potuti dare solo circa tre etti di pane ciascuno; e si capisce allora la frase di Giovanni: Duecento denari di pane non sono sufficienti perché ognuno ne possa ricevere un pezzo. Se quindi i duecento denari non bastavano per saziare la folla, non si capisce l’intervento di Filippo se non nel senso che questa è l’unica cifra che essi possedevano da poter spendere. Altrimenti avrebbe detto: Dobbiamo andare noi a comprare quattrocento denari di pane?. Sappiamo da Giovanni che gli apostoli avevano una cassa, tenuta da Giuda, dove affluivano le offerte dei benefattori, che servivano sia al sostentamento della comitiva del rabbi che per aiutare i poveri. Questo racconto dimostra la sua storicità anche nel fatto che ci dà un particolare significativo della vita apostolica di Gesù. In quel momento vi erano nella cassa duecento denari. Quant’era il valore del denaro in termini attuali? Possediamo alcuni riferimenti di valutazione: era il lavoro di un giorno di un bracciante (ma veniva dato loro anche il vitto); tenendo conto del basso costo che allora aveva il lavoro, si può pensare a una somma più o meno compresa tra le 9 e le 15 mila delle vecchie lire. Con un denaro si compravano più di 13 litri di frumento al valore attuale di 7.500 delle vecchie lire circa. Uno schiavo sano e robusto veniva a costare duemila denari; con un denaro si alloggiava per qualche giorno in una locanda del tempo. La tassa del tempio Venuti a Cafarnao, quelli che riscuotevano il didramma si rivolsero a Pietro e gli dissero: Il vostro maestro non paga il didramma?. Ed egli: Sì. Quando tornò, Gesù lo prevenne dicendo: Che te ne pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono tasse e tributi dai loro figli oppure dagli estranei? . Ed egli: Dagli estranei. Allora Gesù disse: Perciò i figli ne sono esenti. Ma per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il pesce che per primo abboccherà. Aprigli la bocca e vi troverai uno statere. Lo prenderai e lo darai loro per me e per te (Mt 17, 24-27). Il brano del Vangelo che ci parla del tributo che Gesù versò al Tempio, si trova solo nel primo evangelista ma, come vedremo, è ricco di indicazioni. Il dovere di dare un didramma a testa era un obbligo per tutti i giudei che avevano superato i vent’anni, anche se abitanti fuori della Palestina. Nel libro dell’Esodo (30, 13) era prescritto il versamento di mezzo siclo, ciò che tradotto in moneta greca corrispondeva a due dramme, cioè didramma. La tassa veniva raccolta da appositi incaricati, chiamati collettori di imposte, i quali domandano a Pietro se Gesù paga la tassa. Infatti, sull’obbligatorietà di questo tributo il giudaismo del tempo era diviso: i farisei la riconoscevano, e così pure i giudei abitanti fuori della Palestina, mentre i sadducei, e sembra anche i galilei, non ne volevano sapere. Pietro risponde subito di sì, evidentemente basandosi sull’agire di Gesù negli anni precedenti. Poi, rientrato in casa, Pietro, prima ancora di parlare, si sente rivolgere una domanda da Gesù: I figli del re sono liberi dalle tasse?. Pietro afferma di sì. A quel tempo in Oriente, infatti, le tasse, più che pagate allo stato, venivano pagate al re. È evidente allora che i figli del re erano esenti, ma non gli estranei. Con queste poche frasi, l’evangelista ci presenta chiaramente Gesù che rivela ancora una volta di essere Figlio di Dio. Le tasse infatti sono per il Tempio, e cioè per Dio. Gesù aggiunge: Affinché non si scandalizzino, vai al mare, getta ramo e prendi il pesce che per primo abboccherà, aprigli la bocca e vi troverai uno statere, lo prenderai e lo darai loro per me e per te. Lo statere era una moneta che corrispondeva al doppio del didramma; ogni dramma aveva il valore di un denaro; cioè, uno statere valeva quattro dramme o denari. La prima domanda che viene da porsi è perché Gesù abbia voluto compiere un miracolo così originale a favore di se stesso, cosa unica nel Vangelo. Le interpretazioni sono varie; c’è chi afferma che la versione originale sarebbe stata: Va’, pesca un pesce, vendilo, e paga la tassa. Ma, attualmente, quasi più nessun esegeta accetta un’interpretazione così discostata dal testo. Un’altra interpretazione è che Gesù abbia voluto operare questo miracolo prima di tutto perché non aveva soldi nella cassa apostolica, in secondo luogo per mostrare che, seppur egli si assoggetta alle norme giudaiche per amore di Dio, è Dio stesso che interviene per confermare la sua indipendenza, in quanto Figlio di Dio. Si è dubitato molto sulla possibilità che un pesce potesse avere una moneta in bocca, finché è stata avanzata l’ipotesi che potesse trattarsi dell’hemicromis sacra, chiamato anche pesce di san Pietro, il quale alloggia i suoi figlioletti nella cavità orale e, quando crescono, mette una pietra in bocca che occupi tutto lo spazio, onde escano. Il pesce del Vangelo di Matteo avrebbe in questo caso messo uno statere. Questa specie di pesce era nel lago di Tiberiade. Gesù non dice a Pietro: Prendi, e troverai nella bocca del pesce un didramma, ma uno statere, cioè il doppio, e lo darai loro per me e per te. Si sottolinea ancora una volta il rapporto speciale di Pietro con Gesù. Riguardo alla vita economica di Gesù, questo episodio ci parla chiaramente di un momento nel quale il Maestro e gli apostoli non possedevano nulla.