La Tanzania ha un nuovo presidente
Il Paese “più strano del mondo”, come talvolta lo si chiama perché è composto per metà da cristiani e per metà da musulmani che vivono in pace, ha vissuto recentemente delle elezioni presidenziali. Ricevo da un amico del posto questa lettera: «Questa volta l'elezione ha interessato molto i tanzaniani, e la campagna è stata molto robusta da entrambe le parti: il Partito della rivoluzione, al potere praticamente dall’indipendenza del 1960, con il suo candidato John Magufuli, e il partito d’opposizione Chadema guidato da Edward Lowassa, un ex-primo ministro ora alla guida di un partito molto discusso e poco trasparente». Visto, aggiungo io, che Lowassa ha un passato di corruzione, conflitti d’interesse e abuso di potere. Aveva lasciato il governo solo quando aveva capito che non sarebbe stato il candidato del partito al potere, estremamente radicato nel territorio.
La preoccupazione è stata grande, perché Lowassa aveva l’appoggio di tanti Paesi occidentali, «desiderosi – continua la lettera del mio interlocutore – di dominare economicamente la Tanzania e godere delle risorse che abbiamo. Ha pure pagato tanti giovani per convincerli a votare per lui». Ed è qui che entra in gioco un’africanità che a noi pare così diversa: «Sapendo che molti tanzaniani hanno deciso di pregare Dio affinché egli ci illuminasse per capire quale esattamente fosse la sua volontà, ora siamo molto felici perché ci ha protetto dalla persona di cui abbiamo dubitato. Ora tutto è calmo e il nuovo presidente è stato installato nel suo ruolo il 5 novembre 2015. Preghiamo per lui e continuiamo a pregare per la Tanzania, perché il Paese rimanga un’oasi di pace nell’Africa».
Certamente il Partito della rivoluzione governa da troppo tempo il Paese, approfittando del suo radicamento nel territorio. Praticamente non ha un’opposizione credibile e sa ancora far emergere personaggi quali John Magufuli, un cattolico (anche il suo oppositore Lowassa è un cristiano), che sembrano puliti e non corrotti, dediti al bene comune. Non è poco. La sfida resta quella di dare rappresentatività adeguata ai musulmani che occupano i centri del potere politico ed economico in modo inferiore ai cristiani.