La svolta di Francesco
Ahmad al-Tayyib, che ha accolto e ricambiato l’abbraccio di papa Francesco il 28 aprile scorso al Cairo, è il 44° shaykh (grande imam) dell’Università al-Azhar, probabilmente la più antica del mondo, fondata insieme alla città del Cairo nel 970 d.C. (corrispondente al 359 del calendario islamico); di oltre un secolo più antica dell’Università di Bologna (1088), che si considera la prima istituzione superiore europea dedicata agli studi (giuridici). Nel suo intervento al convegno promosso da al-Azhar, al quale è intervenuto il papa, al-Tayyib ha chiesto fra l’altro: «Non definite terrorista l’Islam per le azioni di alcuni, così come noi non definiamo terroriste le altre religioni per le azioni di alcuni». Richiesta equa e rispettosa, formulata da un uomo di alta levatura morale e culturale, che sa di rischiare di persona per le posizioni religiose e politiche che assume. Non è la sede per entrare nel merito del discorso di al-Tayyib, peraltro facilmente reperibile e molto interessante, aperto e stimolante. Limitiamoci a prendere spunto dalle sue parole per evidenziare il retroterra che le suggerisce. Ed è il sentimento quasi inconfessabile che pervade il mondo islamico alla ricerca di quelle radici universalmente umane che lo hanno reso grande per secoli, e timore per una grande cultura religiosa che sembra oggi dissolversi di fronte a una violenza mortale che non le appartiene ma che allo stesso tempo attinge linfa vitale dal centro profondo della sua identità. È sconcerto e insieme domanda di comprensione.
È orgoglio dolorosamente ferito e ricerca di vie nuove che riaprano l’antico scrigno svelando ancora una volta quella “nicchia delle luci” che ha brillato per secoli nel cuore di tanti uomini.
Probabilmente il mondo islamico sta attraversando un difficile e necessario percorso di crescita e di ricerca di identità di fronte alle sfide del mondo post-moderno, paragonabile in certo modo alla tragica esperienza che la cristianità ha sperimentato al tempo della Riforma e delle guerre di religione (e di potere) fra cristiani nel XVI sec., terminate per sfinimento solo dopo decenni e fiumi di sangue. Francesco ha colto questo disagio e ha spiazzato tutti ad al-Azhar e in Egitto, in certo modo anche chi non voleva o poteva capire le prospettive che si vanno aprendo e che il papa ha fatto proprie.
Condivido in pieno la lettura che Riccardo Cristiano traccia su formiche.it a proposito dell’atteggiamento di Francesco ad al-Azhar, quando scrive: «È partito dalla lode della grandezza del passato non tanto islamico, quanto egiziano, per chiedere all’Egitto di tornare protagonista del tempo presente. (…) Egiziani musulmani ed egiziani cristiani, cioè copti, si sono ritrovati improvvisamente dalla stessa parte della storia. La parola popolo è risuonata più volte. E la dicotomia, musulmani contro cristiani, è diventata ben altra, terroristi contro cittadini». La lettura del papa, nei suoi discorsi in Egitto, attinge, oltre che al Vangelo, al tema della cittadinanza che era emerso con forza anche dalla Dichiarazione di al-Azhar sulla cittadinanza e il vivere insieme, del 6 marzo scorso. È uno dei temi ricorrenti in questa ricerca di categorie nuove adatte ad affrontare la grande sfida politica posta alla umma (la comunità islamica dei credenti) e al mondo dallo Stato islamico, il Daesh, e dal terrorismo jihadista, che con i loro messaggi di morte si atteggiano a salvatori del mondo. Il papa ha ben presente questa pretesa salvifica quando ha affermato con forza: «Dio, il Creatore del cielo e della terra, non ha bisogno di essere protetto dagli uomini, anzi è lui che protegge gli uomini; egli non vuole mai la morte dei suoi figli ma la loro vita e la loro felicità».
Il recupero della categoria di cittadinanza in riferimento alla comunità politica islamica primitiva è forte nella Dichiarazione di al-Azhar e il papa sembra far leva su questo, pur senza citare esplicitamente il documento. «Il termine “cittadinanza” è di origine islamica – recita la dichiarazione – ed è stato usato per la prima volta nella Costituzione di Medina e nelle lettere e accordi del Profeta che hanno seguito questo principio, nelle quali ha messo le basi per le relazioni fra musulmani e non musulmani… La cittadinanza non è una categoria importata, ma il recupero di una primitiva pratica islamica del governo esercitato dal Profeta nella prima comunità musulmana da lui fondata: lo Stato di Medina». La «Costituzione di Medina si esprime in questi termini: i gruppi sociali differenti per religione ed etnia costituiscono una nazione che li distingue dagli altri uomini, dove i non musulmani hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri dei musulmani».
Tutto questo nella realtà egiziana di oggi è un orizzonte che si va aprendo, non ancora una realtà compiuta. Basta pensare, per esempio, alla recente legge (31 agosto 2016) che apre la possibilità ai cristiani di costruire nuove chiese in un Paese dove da 60 anni era impossibile farlo, pur essendoci in media solo una chiesa ogni 5.500 fedeli. È una legge non certo perfetta e le azioni di contrasto da parte degli islamisti sono da mettere in conto. Naturalmente c’è sempre chi non accetta per ignoranza o partito preso, chi condanna, chi eccepisce, chi ce l’ha con questo e con quello, a ragione o a torto. Ma, anche grazie a papa Francesco e al-Tayyib, il cammino del dialogo è avviato e si farà strada, inshallah verrebbe da dire. Come augura un detto arabo molto usato in Medio Oriente: «Che lui ti dia la forza, ci dia la forza».