La sveglia che non suona
Le questioni in gioco sono due: la prosecuzione della politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, cioè in un territorio che dovrebbe costituire un futuro Stato palestinese; e il grande tema dello «status» finale di Gerusalemme, considerato come «capitale indivisibile» dello Stato di Israele – punto ribadito, pare, da Netanyahu a Washington – soluzione che tuttavia appare poco compatibile con una prospettiva di pace stabile tra le due comunità, a meno che non si adotti l’ipotesi (proco praticabile) di una «internazionalizzazione» della Città Santa. Insomma, ora Washington sembra voler dettare alcune condizioni: sospensione totale di nuove costruzioni israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme; gesti concreti per aumentare la fiducia reciproca (rilascio di prigionieri palestinesi, ritiro delle forze armate israeliane presenti in Cisgiordania e rimozione dei blocchi, anche a Gaza). Ma occorre fare i conti anche con le travagliate vicende politiche interne israeliane e con la stessa configurazione del governo Netanyahu. Bisogna mantenere carica la sveglia di J Street, ma non suonerà tanto presto.