La strategia Fiat
Una notizia che spazza via le persone e lascia in piedi gli edifici è stato invece l’effetto della crisi finanziaria che negli Usa ha travolto ciò che sembrava inaffondabile, la General Motors, assieme alla Chrysler. In quest’ultimo caso la scommessa della rinascita è stata affidata ai prestiti statali e all’intervento del fondo pensionistico dei lavoratori che detiene la maggioranza del capitale sociale della nuova società, ma non ha membri con diritto di voto nel consiglio di amministrazione.
Seppure sempre più lontane da Torino, le vicende della Fiat fanno riemergere le sempre attuali istanze, nella dialettica tra eguaglianza e libertà, che un grande studioso piemontese, come Norberto Bobbio, poneva sulla democrazia che stenta a diventare sociale. C ome esemplificato all’interno della fabbrica dove il potere di decisione è sempre più affidato solo ad una parte. Esplicito, in tal senso, il richiamo di Marchionne alla mancata serietà dei sindacati italiani che non accettano lo stato di fatto determinato dalla globalizzazione.
Nella conferenza stampa, pur stando dall’altra parte dell’oceano, ha fatto presente il caso singolo del delegato sindacale abruzzese licenziato perché pur stando in permesso, dopo aver accompagnato la figlia da una visita medica, aveva partecipato ad una manifestazione di protesta documentata dalla stampa. Vicende private che assumono la veste di casi esemplari, come i familiari che stazionano sotto le mura della città di Melfi dove altri operai si sono issati come forma estrema di protesta contro un licenziamento avvenuto con l’accusa di aver ostacolato il lavoro di un robot.
La questione, coinvolgendo lo stabilimento Mirafiori, non è più legata al Meridione come la chiusura annunciata di Termini Imerese, che non suscita grandi reazioni. La decisione di non concedere il previsto premio di produzione di 600 euro ai dipendenti italiani (complessivi 18 milioni di euro) pur di fronte a risultati complessivi che vanno oltre le aspettative ( utile della gestione ordinaria del primo semestre passato dai previsti 256 milioni ad un miliardo di euro) viene giustificata da Marchionne con il fatto che «l’Italia è l’unico Paese dove il Gruppo ha perduto soldi».
Un messaggio che va oltre il mancato plebiscito al piano da parte dei lavoratori di Pomigliano D’Arco e che dovrebbe permettere un dialogo delle parti sociali molto più ampio di quello delle reazioni a decisioni temute ma già prevedibili. La vera sfida è quella di valorizzare il patrimonio di relazioni che, pur nel conflitto, hanno cercato strade comuni di soluzioni possibili. Senza ripartire dalla tabula rasa.