La straordinaria svolta della Nostra Aetate

La promulgazione del documento conciliare sul rapporto tra la Chiesa e le religioni non cristiane , nel 1965, ha spalancato orizzonti imprevedibili di dialogo e costruzione della pace. Un contributo di lettura del nostro tempo mentre in Gregoriana si conclude un ricco convegno internazionale
pope

Il 28 ottobre del 1965, i Padri del Concilio, ormai avviati verso la conclusione della storica assise mondiale dei vescovi della Chiesa cattolica, promulgavano Nostra Aetate, il documento di gran lunga più breve fra quelli emersi dai lavori conciliari. La portata di quelle poche pagine sarebbe stata, comunque, di portata allora incalcolabile. I vescovi della Chiesa cattolica, che veniva da secoli di convinzione pressoché adamantina che “fuori della Chiesa non c’è salvezza” – il famoso adagio latino extra ecclesiam nulla salus .

 

Si erano interrogati sul rapporto fra cristianesimo e coloro che nel mondo credono in modi diversi, definiti, ancora con atteggiamento autoreferenziale e generalizzato, come non-cristiane. Eppure quelle pagine per la prima volta, aprivano il mondo cristiano agli altri in quanto “altri”. Proprio questo nuovo atteggiamento era alla radice di quello che Nostra Aetate avrebbe significato. Benedetto XVI, pochi giorni dopo aver annunciato il suo “ritiro”, riflettendo sul Concilio, al termine dell’anno che celebrava il cinquantesimo del suo inizio, definiva questo documento, insieme a Gaudium et Spes e a quello sulla libertà religiosa, come «una trilogia molto importante, la cui importanza si è mostrata solo nel corso dei decenni».

In effetti Nostra Aetate ha avuto una gestazione lunga e complessa. Nata da uno schema iniziale che, su suggerimento dello storico ebreo francese Jules Isaac, Giovanni XXIII aveva affidato al Card. Bea per la realizzazione di un documento che contribuisse a scongiurare il ripetersi di tragedie come la Shoà, dopo lunghe e complesse discussioni portò a poche pagine che si rivolgevano a tutte le religioni del mondo. Partendo dalle domande comuni dell’uomo di ogni momento storico, ma anche di qualsiasi angolo geografico o modello culturale, la Nostra Aetate si rivolge alle espressioni delle religioni tradizionali e di quelle asiatiche per arrivare, poi, a concentrarsi su Islam ed ebraismo.

L’atteggiamento, soprattutto, rappresenta la grande novità di questo documento. Infatti, "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni"afferma il documento. Quelle che spesso nel corso della storia non erano state riconosciute come religioni, erano ora valorizzate dalla tradizione cattolica che riconosceva la presenza di verità e santità anche nelle loro tradizioni e storie. Ancora di più. Il vaticanista Raniero La Valle sottolineava come il documento, con l’autorità del Concilio, vincolava tutti i cattolici a un atteggiamento di amore verso credenti di altre religioni, a una particolare “simpatia” spirituale verso le famiglie religiose che discendono da Abramo. I vescovi, per esempio, parlano di stima nei confronti dei musulmani per la loro vita morale anche perché «rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno».

Ma è sull’ebraismo che si concentrano le affermazioni più significative di Nostra Aetate. La sollecitazione perché il Concilio non perdesse l’occasione di chiarire come l’antisemitismo fosse anticristiano. Il documento insiste che gli ebrei, sebbene,in generale  non abbiano riconosciuto in Gesù il Figlio di Dio,devono essere  presentati in positivo: «non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura». Soprattutto, Nostra Aetate esclude la responsabilità collettiva di Israele nella morte di Gesù. Cambia radicalmente la prospettiva cristiana e cattolica vecchia di secoli, potremmo dire di quasi due millenni.

Ma è nella conclusione che Nostra Aetate offre una chiave di lettura antropologica che significherà la vera svolta fra cristiani e seguaci di altre fedi. «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8)».

In questi cinquant’anni queste poche pagine hanno spalancato orizzonti difficilmente prevedibili nel lontano 1965. In questi giorni un convegno presso la Pontificia Università Gregoriana ha raccolto circa 400 persone di diverse provenienze sia geografiche che culturali e religiose, testimoni di un dialogo fra uomini e donne che credono in modo diverso. Si è imparato a dialogare nel quotidiano, con quello che è il dialogo della vita, ma anche in una miriade di collaborazioni soprattutto in vista della pace e del soccorso a chi soffre. Non mancano, poi, riflessioni teologiche e filosofiche come pure condivisioni di esperienze religiose. Soprattutto, proprio nei nostri giorni sconvolti dal baratro del pericolo dello scontro delle civiltà che si apprezza e si valorizza la profezia di Nostra Aetate. Oggi uomini e donne, cristiani e buddhisti, indù ed ebrei, musulmani e sikh, sono testimoni che l’incontro è possibile in qualsiasi contesto ed in qualsiasi parte del mondo a fronte delle tensioni più tragiche che non mancano e non possono essere ignorate.

Cinquant’anni fa non sarebbe stato prevedibile vedere l’aula magna della Pontificia Università Gregoriana affollata, come lo è stata in questi giorni, di rabbini, imam, monaci e monache sia cattolici che buddhisti, indù, gianisti, fianco a fianco con cardinali e teologi cristiani. Sono scene che testimoniano la possibilità dell’incontro, del dialogo, della condivisione e della collaborazione, dell’esperienza della comune provenienza e dell’unica meta. Come sempre ha affermato Benedetto XVI, il dialogo è un vero pellegrinaggio comune verso la Verità che nessuno può reclamare di possedere perché è proprio la Verità a possiede ciascuno di noi.

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