La strage di Suzano e il dibattito sulle armi
Pochi giorni prima del massacro in Nuova Zelanda, in Brasile si verificava la quinta strage procurata dalla letale combinazione di fanatismo, emarginazione e instabilità mentale. Nella città dormitorio di Suzano, nei pressi di Sao Paulo, due giovani, di 17 e 25 hanno fatto ingresso in una scuola pubblica uccidendo otto persone, sei alunni, tra i 15 e i 17 anni, e due impiegate. Armati di un revolver di grosso calibro, di arco, frecce e di una accetta, i due hanno agito conoscendo bene la struttura dato che erano ex alunni. All’arrivo della polizia il possessore del revolver ha prima fatto fuoco contro il suo compagno per poi suicidarsi.
Pare proprio che l’attacco sia stato pianificato da tempo. Erano frequentatori di un foro web, Dogolachan, presente nel deepweb, la rete oscura che ospita siti che fanno apologia del delitto, come il massacro di Columbine, nel 1999. Prima di recarsi presso la scuola, forse perché aveva scoperto le loro intenzioni, il più giovane ha assassinato lo zio presso il quale viveva. Le immagini delle camere di sorveglianza mostrano la crudeltà con la quale i due hanno infierito sulle vittime.
Le loro storie ripetono un cliché di disadattamento, di genitori tossicodipendenti e di affidamento ai nonni; solitari, sempre vestiti di scuro anche nei giorni di afa; la passione per eventi sanguinari. Il fatto è accaduto mentre il parlamento brasiliano discute sulla legge promossa dal presidente Bolsonaro e dai gruppi di destra che l’appoggiano per facilitare l’acquisto e il possesso di armi, un suo cavallo di battaglia elettorale. L’idea è che i “cittadini perbene” debbano potersi difendere dai cattivi. Uno di quei facili ragionamenti che canalizza la rabbia e la vendetta di fronte ad episodi violenti. Ma si resta a livello epidermico, senza chiedersi quanti saranno in grado di usare un’arma senza peggiorare situazione drammatiche ed esponendo al pericolo altri innocenti.
Davvero “più armi” significa “meno crimine”? Uno dei legislatori che promuovono il progetto di legge ha fatto notare che, se ci fosse stato qualcuno armato nella scuola, le vittime sarebbero state di meno. Ma è un’ipotesi altamente aleatoria, perché avrebbero potuto essere anche di più. I Rambo, in genere, stanno solo nei film. Eduardo Bolsonaro, influente figlio del presidente, ha invece chiesto che l’episodio non influisca nel dibattito in corso. Ma offre una spiegazione ancora più debole: il problema sarebbero le persone, non le armi, dipende dall’uso che le persone ne fanno. Con un criterio del genere, perché allora non legalizzare tutte le droghe? Il problema è sempre come le persone le usano e non le droghe in sé.
Michele Gonçalvez dos Ramos, consulente speciale dell’Instituto Igarapé e specialista in sicurezza pubblica, segnala alla Deutche Welle che l’idea di armare i cittadini non ha riscontri in dati concreti. Uno studio dell’Fbi statunitense, mostra che su 160 attacchi armati commessi tra il 2010 ed il 2013 negli Usa, appena in cinque casi le persone armate poterono frenare gli attaccanti. Invece in 21 casi gli attaccanti vennero dissuasi da cittadini disarmati. «In generale, più armi non significa più sicurezza», aggiunge Ramos. Al contrario, «tutti gli studi scientifici dimostrano che quante più armi ci sono in giro, tanto più aumenta il numero degli assassinii e dei suicidi». E conclude che invece di rendere più flessibile il possesso di armi, andrebbe combattuto il commercio illegale di queste. Per la sociologa Julita Tannuri Lemgruber, l’ossessione per le armi viene oggi gonfiata dal presidente Bolsonaro. E non a caso uno dei due giovani assassini simpatizzava con le idee del primo cittadino brasiliano.
Che la sicurezza in Brasile sia una meta ambita lo dimostrano le circa 64 mila morti violente registrate nel 2017. In un clima nel quale la vita vale poco, distribuire armi non è una soluzione ma l’ammissione di un fallimento: lo Stato non è capace di difendere questo bene comune e lo trasforma in un bene privato. Non è un passo in avanti ma un passo indietro.