La strage della Bestia

La tragedia di Peshawar, in Pakistan, non trova spiegazioni. È come la sintesi del male che vuole cancellare dai cuori la buona notizia del perdono. Cosa ci dice il grido di quei bambini innocenti
strage pakistan

Peshewar, scuola pubblica gestita dai militari, i terroristi di “Therek e taliban Pakistan” (Ttp) uccidono 141 persone, di cui 132 bambini e adolescenti. Ecco la notizia, che ieri avremmo voluto non sentire. Irrompe nelle cancellerie dei governi e nelle case di tutti. C’è come una potenza demoniaca, che supera ogni limite, ogni misura. Rinvia a Beslan, là dove tanti bambini furono vittime di uno scontro militare, disposto per sacrificare sull’altare della guerra e dell’odio molte vittime innocenti. Rinvia alla strage della periferia di Algeri di oltre 450 uccisi, in primis donne e bambini, dal terrore fondamentalista, nella notte tra il 30 e il 31 agosto del 1998, quando l’Algeria, il popolo musulmano di Algeria, era stato lasciato solo contro il terrore islamico, a solo un’ora e mezzo da Roma.

Il racconto dei testimoni rivela una particolare ferocia verso i bambini nella scuola, in particolare verso le bambine. Sullo sfondo, il Vangelo viene incontro con la strage degli innocenti: Erode stabilisce che tutti i bambini, sotto i due anni, di Betlemme siano uccisi, per poter uccidere il messia. Allora il Vangelo ci dice che quando si compie questa tragedia, sta operando l’antimessia, la bestia, che tutto vorrebbe travolgere e distruggere.

Mi ha colpito, sul quotidiano La Stampa, la testimonianza di un giovane afghano, che ho avuto l’onore di conoscere, Iawad Joya, poliomielitico in carrozzina, che racconta la sua giovinezza al tempo dei talebani: «In quel periodo però le scuole erano state date alle fiamme o erano edifici ormai fantasma. Molti bravi insegnanti erano scappati, i libri bruciati per scaldare le bevande o fare il tè. Ma io ho trovato il modo di imparare a leggere e a scrivere. Di nascosto, al buio. Nonostante la loro meschinità, ho scoperto di vedere il mondo e come decidere chi volevo essere». Quando viene l’ora delle tenebre, per non essere complici, siamo chiamati a imparare al buio a leggere e scrivere, perché allora si accende il piccolo lume, che si oppone al fanatismo, all’intolleranza, alla violenza di chi vuole cancellare per sempre il volto dell’umano. Si sperimenta l’odio del mondo, ma non siamo catturati dall’odio del mondo, perché si vuole imparare, anche al buio, soprattutto nel tempo delle tenebre, la parola, che illumina i nostri cuori e la nostra storia e forza l’aurora a nascere.

Il papa a Betlemme il 25 maggio, ha detto: «Forse quel bambino (riferendosi al bambino di Betlemme) piange perché ha fame, perché ha freddo, perché vuole stare in braccio. Anche oggi i bambini piangono, piangono molto, e il loro pianto ci interpella». Ma oggi i bambini di Peshawar non piangono più perché la loro voce è stata annientata dalla violenza. Il loro silenzio ci schiaccia e ci pone dinanzi alle nostre responsabilità. Certo, molte parole provano a spiegare quello che è accaduto: l’odio, l’odio religioso, il fanatismo, la violenza come idolo, ma non basta. C’è un mistero di male, che si è impossessato della storia di tutti, anche dei bambini e delle bambine di Peshawar.

E’ l’“Omicida fin dal principio, il padre della menzogna, il divisore”. Ecco colui che oggi sembra operare senza limiti, che colpisce e accomuna tutti sotto la sua strategia di violenza: i cristiani, gli ebrei, i musulmani (sunniti e sciti), donne e uomini di buona volontà.

Proprio le vittime, tutte le vittime, le infinite vittime domandano che venga innalzato e confessato Colui che “fa la pace per mezzo del sangue della croce”. Ecco la fonte del perdono e della riconciliazione. Di fronte a questa strage, a queste stragi, le vittime, nel mutismo della morte tragica, ci consegnano la parola luminosa del perdono: il perdono senza armi, il perdono per sempre. Quel perdono di cui i bambini di Peshawar sono, oggi e ora, maestri per tutti.

Noi che vorremmo armare i nostri cuori e le nostre mani per una giusta vendetta che fosse capace di lenire un dolore così infinito, impariamo da questi bimbi la luce del perdono. E’ il grido del sangue delle vittime, che sale fino a Dio e da Dio è ascoltato. La guerra in Afghanistan è cominciata nell’ottobre del 2001. Sono passati 13 anni. Quanto scialo di morte, direbbe un grande poeta. La violenza e la guerra hanno solo moltiplicato i giacimenti di odio. Non hanno risolto alcun problema. La stessa cosa potremmo dire per il Medio Oriente, per l’Irak, per la Siria, per la Palestina e Israele, per l’Africa. Peshawar, con i suoi bambini uccisi, è come la sintesi del male e della sua potenza distruttiva, e vuole rappresentare l’antiperdono, vuole cancellare dai cuori  la buona notizia del perdono, rendere impraticabile il Vangelo. In questo crocevia i cristiani non devono cercare nulla per sé, ma imparare dal magistero delle vittime, delle piccole vittime di Peshawar a seminare lo scandalo, che illumina la notte della storia.

A Peshawar hanno ucciso i nostri fratelli più piccoli, in particolare le nostre sorelline più piccole. Noi non abbiamo vigilato, la bestia ha agito, ma la storia sta nelle mani di coloro che hanno reso bianche le loro vesti lavandole nel sangue dell’agnello, grazie alla testimonianza del loro martirio.

Ecco i piccoli martiri del perdono, che chiamano i cristiani a comprendere meglio il Vangelo. Non i comici, non i teologi, non i monaci, non i vescovi, non i preti, ma le vittime. In ultima analisi, guarire dalla malattia delle malattie che è l’odio.

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