La strada più pericolosa del mondo
Il 18 dicembre sarà la giornata mondiale del migrante proclamata su iniziativa dell’ONU. I dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nelle scorse ore li abbiamo sentiti tutti: 3419 morti nel canale di Sicilia dall’inizio di gennaio sino ad oggi. Un numero che ha fatto guadagnare al tratto del mediterraneo tra Africa ed Europa il titolo di strada più pericolosa del mondo.
Questa cifra è stata semplicemente consegnata alla stampa (e al mondo) senza troppi commenti. Anche le persone intervistate, tutte esperte sui temi delle migrazioni, non hanno avuto molto da dire. Certamente senza l’operazione Mare Nostrum il numero dei morti sarebbe stato maggiore. Ma ancora più vero è che forse molti barconi sono affondati e nemmeno lo sappiamo: se nessuno a bordo riesce a lanciare un SOS o se nessuno a terra cerca le persone che hanno tentato l’attraversamento del canale, allora davvero non sappiamo se lo scafista è riuscito a condurre in salvo i suoi passeggeri o se le onde hanno avvolto tutti, per sempre.
Una notizia così non va commentata. Se ne prende atto. Ci fa pensare che senza l’iniziativa italiana la situazione sarebbe stata peggiore, ma anche che si potrebbe fare di più, molto di più (in Italia ma non solo). Non mancano le proposte dirette ad evitare l’attraversamento del mare: definizione di corridoi umanitari; allestimento di luoghi neutrali nelle regioni di partenza per valutare la condizione dei migranti e le loro eventuali esigenze di asilo; e molte altre. Che purtroppo giacciono nei documenti e nelle soluzioni – ribadite a più voci – avanzate molte volte. Nessuno tuttavia le ascolta perché prendere sul serio queste idee significa dispiegare molte energie per rimettere in discussione dei sistemi politici e giuridici difficili da smantellare. Ma prima o poi anche questa montagna comincerà a sgretolarsi. Per necessità, non certo per buonismo umanitario.