La strada della vera felicità

Dare amore: è la strada maestra della vera felicità. Nel libro Diventa ciò che sei, il potere curativo delle parole di Pasquale Ionata la conferma delle ricerche neuroscientifiche
diventa ciò che sei - libro

«Nella mia più che trentennale esperienza psicoterapeutica mi sono chiesto più volte che fondamento scientifico possa ave­re il fatto che persone anche molto diverse tra loro, quando si tratta della realtà dell’amore, tutte indistintamente dicono che dare amore è più appagante e soddisfacente che riceverlo.

Per approfondire meglio questo arcano, mi sono rivolto alle ultime novità provenienti dalla psicologia e in primis alle neuroscienze.

Nel 2000 le ricerche neuroscientifiche di Andreas Bartels e di Semir Zeki (dell’Università di Londra) hanno dimostrato che i sentimenti di innamoramento riescono a disattivare diverse re­gioni cerebrali deputate all’elaborazione di emozioni negative, per esempio certe aree nella parte anteriore destra del lobo tem­porale e certe parti dell’amigdala, che si attivano normalmente in caso di rabbia, tristezza e aggressività.

Insomma, grazie all’aiuto della risonanza magnetica funzio­nale i neuropsicologi hanno verificato come l’amore capovolga la nostra vita emozionale: per esempio, essere innamorati rende ottimisti e teneri. In altre parole, l’amore romantico in parti­colare, ma anche l’amore in generale, come quello altruistico, rende felici. E sembra che venga disattivata anche la parte ante­riore del lobo frontale destro, che è invece fortemente attiva in individui depressi. Se è vero che individui fortemente depressi traggono vantaggio da terapie in cui l’attività di queste regioni cerebrali viene inibita con forti impulsi magnetici, purtroppo questa prescrizione terapeutica non permette di passare dalla depressione all’amore, proprio come i farmaci antidepressivi che sono sì, in grado di eliminare i pensieri negativi, ma non riescono ad attivare i pensieri positivi. Per attivare i pensieri po­sitivi è necessario fare psicoterapia, ma soprattutto mettersi ad amare, dare amore, come già negli anni ’60 affermavano alcuni psicologi statunitensi.

Uno di questi, lo psichiatra Hugh W. Missildine, nel 1963 affermava che il problema dell’amore, una volta divenuti adulti, è che la maggior parte di noi sente di non averne avuto abba­stanza quando era bambino.

Il bisogno di amore è spesso maggiore della capacità di amare. Se nell’infanzia non siamo riusciti ad imparare ad ama­re il nostro bambino interiore perché gli altri non hanno amato il bambino che eravamo, nella vita adulta cercheremo qualcu­no che finalmente ami il bambino che è al nostro interno, ma spesso resteremo delusi. Il problema dell’amore, secondo questi psicologi, è scoprire in noi stessi il bambino trascurato, e dargli ciò che non ha avuto. Poi, saremo capaci di amare gli altri come noi stessi. L’amore è la capacità di ricercare e affermare le nostre potenzialità per una vita nuova. Ogni pacca sulla spalla, ogni ca­rezza, ogni gesto che ci dà gioia è anche un richiamo, un segnale che siamo sensibili e vivi nei confronti di noi stessi e degli altri.

Per amare l’altro, fai semplicemente ciò che comporta amo­re per te stesso.

Se, ad esempio, da bambino desideravi che i tuoi genitori si comportassero diversamente da come facevano, adesso, da adulto, comportati in quel modo tanto desiderato. Da adulti abbiamo sempre la possibilità di diventare genitori del nostro bambino interiore e lui allora sarà contento perché finalmente otterrà quello che ha sempre desiderato, e ci invierà attraverso l’inconscio serenità, pace e gioia.

[…]

E quando ci si trova al tramonto della vita, solo allora ci si accorge che l’unica cosa che resta e che vale è quanto si è amato, è l’amore.

Sono convintissimo che se scoprissimo di avere ormai sol­tanto cinque minuti per dire tutto ciò che vogliamo dire, ogni telefono fisso, fax, computer, cellulare, ipad, iphone, sarebbe occupato per balbettare un «ti voglio bene».

Del terribile giorno dell’11 settembre 2001 mi sono rimaste impresse proprio le chiamate dai cellulari effettuate dai passeg­geri di quegli aerei.

Ogni telefonata era diretta a una persona cara, per ristabi­lire un contatto e pronunciare le ultime parole d’amore. Nes­suno ha chiamato l’ufficio o ha chiesto al suo agente di borsa un’ultima valutazione della situazione finanziaria: le relazioni che non erano basate sull’amore non hanno neppure sfiorato i pensieri di chi sapeva di essere destinato ad abbandonare il mondo fisico.

La loro priorità era la certezza di concludere la loro vita nell’amore.

«Di’ ai bambini che voglio loro un mondo di bene».

«Ti amo George».

«Abbraccia mamma e papà da parte mia».

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