La strada del Nebo

Sul Memoriale di Mosè, contemplando la terra promessa. Una biografia-mosaico del francescano archeologo Michele Piccirillo

Il Monte Nebo si erge sull’altopiano transgiordanico, a pochi chilometri dalla città di Madaba. Abitato fin dalla più remota antichità, deve la sua fama alla narrazione biblica che pone qui il luogo da cui Dio mostrò a Mosè la terra promessa agli israeliti reduci dall’Egitto e dalla traversata del Sinai e del Neghev. Una terra nella quale tuttavia egli non avrebbe messo piede: infatti morì e fu seppellito sul posto, in un sepolcro rimasto sempre ignoto a tutti.

A partire dal IV secolo fino al IX, una comunità di monaci si stabilì sul Nebo, perpetuandovi la memoria di colui che viene considerato non solo da ebrei e cristiani, ma anche da musulmani, uno dei massimi profeti.

Nel corso del Novecento gli archeologi francescani della Custodia di Terra Santa, proprietaria del sito fin dagli anni Trenta, portarono alla luce l’antico monastero e la basilica con i suoi meravigliosi mosaici. A completare l’opera di scavo e restauro dei padri Bagatti e Corbo, e a prodigarsi alla salvaguardia del sito, divenuto nuovamente meta di pellegrinaggi, fu padre Michele Piccirillo, noto per aver restituito alla luce, nel Vicino Oriente, un patrimonio di rara bellezza, a conferma dei fondamenti storici del cristianesimo e delle radici cristiane di una regione oggi a larga maggioranza musulmana.

Oltre al Memoriale di Mosè sul Nebo, il suo lavoro di scavo e tutela dei resti antichi ha interessato altri importanti siti come Madaba, l’antica città episcopale da cui dipendeva il Nebo e dove, mentre era in corso la guerra del Golfo, egli era riuscito a creare a un parco archeologico; e come Umm al-Rasas, il luogo presso il Giordano dove Gesù venne battezzato, dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità nel 2004. Fra i risultati più notevoli del frate archeologo, anche quello di aver dato vita, in Israele e in Giordania, a scuole per giovani restauratori, prescindendo da fedi religiose e nazionalità.

Nell’ottobre 2016, otto anni dopo la sua scomparsa, veniva inaugurata sul Nebo la nuova basilica che, sostituendo la provvisoria copertura di protezione, ingloba definitivamente i resti della primitiva chiesa («Era di forma quadrangolare all’esterno e triconca all’interno, costruita con grandi blocchi di pietra calcarea e decorata con colonne, capitelli e modanature scolpite con sobria eleganza», come la descrive padre Piccirillo) e al contempo valorizza i mosaici dei vari periodi storici, notevoli non solo sotto l’aspetto artistico ma anche per le iscrizioni da cui sono corredati.

Ho avuto la fortuna di conoscere padre Piccirillo nel 2008 presso la sede romana della Delegazione di Terra Santa, dove di tanto in tanto egli faceva ritorno. Durante l’intervista mi aveva colpito il tono dimesso con cui, quasi ne fosse già distaccato (ignoravo la malattia che di lì a pochi mesi lo avrebbe stroncato all’età di 64 anni), questo religioso di origini campane riferiva queste emozionanti scoperte fatte in mezzo a difficoltà d’ogni sorta.

Ma egli non è stato solo un grande archeologo: le sue doti di umanità, dimostrate nell’attenzione ai poveri, nell’essere amico sia degli umili che dei grandi della terra, gli davano l’autorevolezza necessaria per svolgere quella che riteneva la sua missione principale: promuovere il rispetto fra i popoli e il dialogo fra le religioni, nella convinzione che il coinvolgimento delle popolazioni locali nella gestione e nelle conservazione del patrimonio storico-artistico potesse condurre alla pace nel Vicino Oriente.

Il fascino di questa personalità ha ispirato diversi scrittori: Franco Scaglia ha ricalcato su di lui la figura dell’investigatore Matteo in due romanzi: Il guardiano dell’acqua e Il gabbiano di sale. E Alberto Friso lo ha rappresentato ne Il cielo sotto le pietre: storia di uno studente di Archeologia che dovendo scrivere la sua tesi si mette sulle tracce di questo cercatore di pietre antiche, in un itinerario di scoperta che finirà per conquistarlo.

Ancora Alberto Friso è ritornato sulla figura del suo amico francescano a dieci anni dalla scomparsa, stavolta con una biografia pubblicata dalle Edizioni di Terra Santa, La strada del Nebo. Geniale l’idea di comporre i capitoli come tessere di un mosaico che solo nel loro insieme rivelano quello che rappresenta, illuminando via via aspetti di un personaggio dalle molte facce. Friso però – scrive nella Prefazione Giovanni Claudio Bottini dello Studium Biblicum Franciscanum – «non si limita a scegliere e riferire citazioni dai testi di Piccirillo e di quanti hanno scritto di lui. Egli le contestualizza nel percorso esistenziale di Michele e le accompagna con annotazioni personali molto penetranti dalle quali traspare la sua visione storica e teologica degli eventi intrisa di pensiero francescano».

Il libro riporta anche brani toccanti dai diari ultimi di padre Piccirillo malato: «Non rinchiudermi ma continuare a sorridere anche se non capisco fino in fondo la gravità del mio male. Nascondermi nelle piaghe del Signore come in un luogo caldo e rassicurante. Questa ora è la mia vera battaglia, non il vivere che è nelle mani di Dio». «Ho sempre sognato di morire davanti a un plotone di esecuzione o come i martiri coscienti di quanto facevano. Era forse letteratura. Ora è un momento di vero pericolo. Ho sempre pensato al rischio della fede. Ora è il momento di pregare per questo abbandono fiducioso, per una coerenza cristiana che è partecipazione alla Passione di Gesù per il bene della Custodia, dello Studium, del Nebo e per la pace in Medio Oriente».

Come Mosè, padre Piccirillo ha visto l’inizio di tante cose, ma non la conclusione. Molte le delusioni provate: non solo l’iter per creare il parco archeologico del Nebo non s’era definito, ma la pace cui aspirava per i territori da lui prediletti era ancora di là da venire…

Oggi, per suo esplicito desiderio, egli riposa su una terrazza del Nebo a significare, forse più che l’attaccamento al luogo dove ha più che altrove profuso le sue energie di studioso, la speranza cristiana in una terra promessa che, a differenza di quella contemplata solo da lontano da Mosè, corrisponde alla dimora celeste. E infatti da questa sorta di balcone naturale che sovrasta le sottostanti steppe del Moab e la valle del Giordano, spaziando con lo sguardo fino ai contrafforti di Gerusalemme, è impossibile sottrarsi alla suggestione delle colline e dei monti spogli che si susseguono a perdita d’occhio come onde pietrificate di un oceano: quasi immagine dell’Infinito.

 

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