La storia del Vietnam dentro un ristorante chiamato Saigon

Una saga familiare che indaga con poesia e delicatezza l’identità post-coloniale, quando le proprie radici divengono un ricordo lontano incarnato in un ristorante etnico, sospeso tra la Francia di oggi e la Saigon degli anni ’50. Una produzione internazionale al Romaeuropa Festival

Storia di esili. Di abbandoni. Di perdite e di riconoscimenti. Di rovine interiori. Di rimpianti. Di speranze tradite. Avvincente epopea che ricollega passato e presente, memoria e oblio, Saigon apre squarci di storia poco nota, di vite dimenticate, di strappi e separazioni, di vissuto rimosso, di malinconie e depressioni, di sofferenze cicatrizzate ma sempre affioranti in persone alla ricerca di una catarsi impossibile, di un’improbabile guarigione dell’anima.

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Capace di suscitare incontrollate emozioni incollandoci alla poltrona, la messinscena della regista franco-vietnamita Caroline Guiela Nguyen, è un potente affresco di un doloroso capitolo della storia del Vietnam incentrata sul colonialismo e la lotta per l’indipendenza, e, nello specifico, di alcuni nuclei famigliari, giovani e anziani di prima e seconda generazione, francesi e vietnamiti integrati e non, che la fine della guerra d’Indocina ha strappato dalla loro terra, forzandone l’esodo in Francia.

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L’autrice è una progenie di questa diaspora, e per lei la storia post-coloniale del Vietnam, che fa parte della sua identità e del suo lavoro artistico, si può raccontarla «solo con le lacrime agli occhi». Tuttavia, nessuna storia di esilio può essere riportata senza altresì ridere. E così succede anche qui. Lo spettacolo, frutto di testimonianze e interviste raccolte sia in Francia che in Vietnam, «non è affatto un teatro-documentario – specifica Guiela Nguyen –, è una finzione, storie ispirate ai ricordi delle persone». Il salto temporale e di luogo ci porta continuamente da Saigon (ora Ho Chi Minh City) a Parigi, dal 1956 al 1996, e viceversa, mantenendo invariata l’ambientazione nell’ampia scena orizzontale ricca di minuziosi dettagli realistici: un ristorante orientale chiamato Saigon con una cucina ben visibile nel suo interno di vetrata, un’enorme sala con tavoli e sedie, fiori artificiali e luci al neon, l’altare per gli antenati e una raffigurazione della Madonna appesa a un muro, un palchetto per intrattenimento. E due porte di vetro: punti di fuga delle partenze e dei ritorni, un “oltre” del fuggire e dal restare.

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In questo luogo di ritrovo si viene per parlare vietnamita o per cantare canzoni che piangono amori perduti e dimenticati in patria. Figura centrale è Marie-Antoinette, un’anziana donna vietnamita arrivata in Francia nel 1954, proprietaria del ristorante, il cui figlio, reclutato nel 1938, dal governo francese come interprete, morì in Francia durante la guerra, ma del quale lei non sa e lo attende ancora. Melodramma e saga si mescolano in questo incessante andirivieni tra luoghi e tempi diversi attraverso i quali si dipana una fitta trama di aneddoti e di vita quotidiana che alimentano parole e azioni tra personaggi che intrecciano i loro destini di amori e sradicamenti, restituiti da 11 magnifici attori di etnia mista – alcuni dilettanti francesi di discendenza vietnamita – tutti di stupefacente naturalezza.

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Una scena merita una menzione speciale: quando Marie-Antoinette supplica la signora Gauthier, moglie di un importante funzionario civile francese in Vietnam, di trovare maggiori informazioni di suo figlio, e la Madame torna tempo dopo con la triste notizia del figlio morto già molti anni addietro. Nel parlare in francese, dato che non può comunicare in vietnamita, chiede aiuto alla nipote di Marie-Antoniette per la traduzione. Ma l’anziana donna – l’attrice Ahn Tran Nghia – rifiuta di ascoltare quelle parole avendo già compreso il destino del figlio. Una scena, e un’interpretazione di madre angosciata, che vale l’intero spettacolo.

“Saigon”, regia Caroline Guiela Nguyen, collaborazione artistica Claire Calvi, scenografia Alice Duchange, costumi Benjamin Moreau, luci Jérémie Papin, creazione musicale e suono Antoine Richard, composizione musicale Teddy Gauliat-Pitois, drammaturgia Jérémie Scheidler,  interpreti: Maud Le Grevellec, Dan Artus, Adeline Guillot, Thi Truc Ly Huynh, Hoàng Son Lê, Phú Hau Nguyen, My Chau Nguyen Thi, Pierric Plathier, Thi Thanh Thu Tô, Anh Tran Nghia, Hiep Tran Nghia. A Roma, Auditorium Parco della Musica, per il Romaeuropa Festival 2018.

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