La prima stazione-museo di Roma
Con sette anni di ritardo sulla data prevista, il 12 maggio scorso è stato inaugurato a Roma il primo dei nodi di scambio previsti tra la nuova Metro C e le altre linee metropolitane della capitale: la stazione San Giovanni. Linea delicata, la C, in quanto attraversa il centro storico dove incontra fatalmente gli strati archeologici dell’Urbe, «fin dalla sua prima stazione a Pantano, nei pressi dell’antica città di Gabii – rileva il responsabile della Soprintendenza speciale Francesco Prosperetti – si è dimostrata uno strabiliante cantiere archeologico. Si sono susseguite scoperte di grande rilievo, tra le più importanti effettuate a Roma in questi anni…».
E proprio l’area fuori le mura Aureliane adiacente alla basilica di San Giovanni in Laterano, individuata per la nuova stazione, ha riservato le maggiori sorprese. Accertata dalle indagini preliminari del maggio 2007 la presenza di numerosi reperti archeologici fino ad una profondità di diciotto-venti metri, gli scavi degli anni successivi hanno permesso di esplorare integralmente – su una superficie di quasi 3.000 mq – un sito pluristratificato attraversato dall’Aqua Crabra, affluente del Tevere proveniente dall’area tuscolana.
La scoperta più spettacolare: un enorme bacino di epoca imperiale di circa 35 metri per 70 – il più grande rinvenuto nell’agro romano – la cui vasca foderata di cocciopesto idraulico poteva contenere più di quattro milioni di litri d’acqua al servizio di un impianto agricolo attivo fin dal III secolo a. C. Quale occasione migliore per la conoscenza di un ampio settore del suburbio antico finora poco noto? Non solo: con i reperti recuperati negli scavi e musealizzati in loco si sarebbe dotato di una propria identità questo importante snodo metropolitano. Ciò che ha richiesto la revisione globale del progetto iniziale e la messa in atto di tecniche complesse e altamente tecnologiche per risolvere le notevoli problematiche di carattere geologico-geotecnico, archeologico ed urbanistico collegate ai lavori.
L’opera compiuta è la prima stazione-museo di Roma: ambienti che da semplici spazi funzionali sono ora trasformati in “luoghi culturali”. Nei vari livelli destinati al pubblico transito, l’allestimento espositivo, realizzato sotto la supervisione della Soprintendenza, comprende pannelli didattici e ricostruttivi della storia del sito dalle prime fasi insediative fino alla nascita del quartiere attuale, schermi per la proiezione della documentazione filmica e vetrine per l’esposizione dei materiali recuperati: porzioni di strutture antiche che, smontate dal luogo di rinvenimento, sono state qui riposizionate; reperti lapidei, talvolta riciclati in costruzioni successive; metalli, manufatti in osso, terrecotte architettoniche; frammenti di vetri, di intonaci, di contenitori ceramici e anforici; tegole con sigillo di fabbrica, lucerne, attrezzi da lavoro; resti organici perfettamente conservati grazie ai depositi limo-argillosi saturi d’acqua; perfino lumachelle, semi e ossi di frutta, che inglobati in cilindretti di plexiglas acquistano bellezza e preziosità impensate in così umili testimonianze di una vita millenaria.
Le stesse superfici dei piani di collegamento della stazione (pareti, pavimenti e soffitti) fanno da supporto per un racconto inteso a comunicare, in parallelo con alcuni eventi significativi per Roma sotto l’aspetto storico-sociale, le trasformazioni dell’area con particolare attenzione alla gestione delle acque.
Nulla, insomma, è stato trascurato perché anche l’utente frettoloso si scopra all’interno di un racconto che lo coinvolge, avvertendo quasi palpabile il fluire nel tempo delle vicende umane. Un po’ come avviene in un altro prestigioso contenitore romano, il Museo della Crypta Balbi, che – quasi “macchina del tempo” – racconta la ricerca archeologica svolta su un intero isolato del centro antico, offrendo una visione dell’evoluzione della storia urbana che va dall’età romana al XX secolo.