La sposa gentile
Lia Levi - Edizioni e/o
Tra le scrittrici italiane, Lia Levi è quella che meglio esprime nei suoi romanzi una propensione al dialogo tra uomini di fedi e convinzioni diverse. Nei suoi racconti le scelte e le posizioni personali sono viste come possibilità di scambio vicendevole di valori e non di scontro. Lo abbiamo colto nella sua opera più importante, La trilogia della memoria, e lo respiriamo anche in questa sua ultima opera.
Teresa, la protagonista, è una contadina il cui rapporto con la propria religione (cattolica) è vissuto con istintiva semplicità e senza una vera consapevolezza. Nell’incontro con Amos, di religione ebraica, sperimenta la bellezza di un amore vissuto con slancio e generosità, senza riflessioni di carattere teologico o pregiudizi per la religione altrui. Così pure Amos, che non vede nella diversa cultura di lei motivo di ostacolo.
Quando, dopo il matrimonio, Teresa maturerà la convinzione di condividere l’esperienza religiosa del marito, lo farà non per rifiuto della propria cultura, ma perché mossa dal desiderio vivo di entrare fino in fondo nella vita dell’uomo che ha rischiato tutto per sposarla. Amos, infatti, aveva rifiutato la posizione della propria comunità, a lui ostile perché innamorato di una cristiana.
La vicenda narrata, descritta con leggerezza e poesia, percorre tutto il primo Novecento per fermarsi nel momento in cui Amos muore: sono gli anni immediatamente prima della seconda guerra mondiale, in cui vengono promulgate in Italia le leggi antiebraiche.
Anche nella morte, Amos sconvolge la tradizione in quanto per lui prima di ogni altra scelta c’è la voce interiore della propria coscienza. «Sì, Amos aveva annunciato e seguito la legge mosaica e lasciato i suoi averi ai figli maschi, ma era alla moglie che andava il completo usufrutto di tutto il patrimonio. Finchè fosse stata in vita era Teresa l’erede, la matriarca, la ricca». Cosa mai avvenuta prima.