La speranza oltre il sangue

Tutto il mondo islamico è sotto pressione. Un epocale cambiamento, che va guardato con attenzione. E che riserva anche buone sorprese, accanto a tragiche costatazioni
Londra

Non passa giorno che l’Islam, anzi, che certi musulmani (un’esigua minoranza va sempre ricordato) non guadagnino le prime pagine dei giornali, le aperture dei telegiornali o la home page dei siti per qualche fatto di sangue. Ultimo in ordine di data, l’attentato terroristico perpetrato da due giovani musulmani a Londra, nel sobborgo di Woolwich, che ha avuto come vittima un inconsapevole e innocuo soldatino che prestava servizio militare nelle vicine Royal Artillery Barracks. Ammazzato a colpi di machete da due suoi coetanei: sconvolgente il video che uno di loro ha voluto che i passanti filmassero, in cui a gran voce e con le mani ancora lorde di sangue affermava di aver compiuto il gesto per vendicare, «dente per dente», i tanti musulmani ammazzati dagli occidentali nei Paesi dove l’Islam è dominante. E ha chiesto scusa alle donne che assistevano alla scena: tante musulmane assistono quotidianamente a scene analoghe… Macabro e straordinario mix di fanatismo di origine musulmana e di voyeurismo di targa invece totalmente occidentale, nel quale il media-business sguazza con sommo piacere, purtroppo.

Si tratta di un fatto di cronaca che pare la metafora di un confronto che non è certo vicino alla sua fine. Se guardiamo il grande arco del mondo musulmano, quello che va dall’Indonesia al Marocco, c’è da credere che i sommovimenti di un Islam confrontato con la modernità occidentale e di una modernità occidentale sfidata dalla crescita musulmana non siano vicini al loro termine. Tracciamo allora un breve inventario, redatto assieme alle nostre fonti locali, che, pur assolutamente incompleto, può dare qualche riferimento utile per capire l’attuale incertezza:

Indonesia: tra i consueti terremoti e la ripresa delle esecuzioni capitali, ricomincia anche il timore di nuovi attentati: due persone sono state arrestate e inquisite il 3 maggio per presunti atti di sangue già pianificati. Il variegato mondo musulmano indonesiano vive sotto la pressione di gruppi integralisti che vorrebbero che la shari’a ridiventasse la prima norma giuridica nel Paese. Ma il dialogo prosegue, soprattutto dietro ispirazione del mondo cattolico.

Filippine: a Mindanao, per anni teatro di spaventose operazioni militari di Boko Haram, che tanti hanno voluto collegare ad al Qaeda non senza una certa leggerezza, i tentativi di conciliazione nazionale vanno avanti, malgrado incidenti di percorso talvolta con gravi conseguenze, 61 solo nell’ultimo anno.

Malesia: le recenti elezioni hanno portato, per l’ennesima volta in 50 anni, il Fronte nazionale di Najib Barisan al potere. L’opposizione, in particolare quella di Anwar Ibrahim, protesta vivacemente per i presunti brogli elettorali. La maggioranza cerca di mantenere lo scettro alleandosi con le tendenze più radicali dell’Islam, non per convinzione, ma per opportunità.

Bangladesh: i mille morti e i 2.500 feriti del crollo dell’edificio-fabbrica di otto piani del Rana Plaza, a Dacca, hanno suscitato violente e diffuse proteste, che hanno spinto il governo a varare norme urgenti per la protezione dei lavoratori. Nel turbine politico, i partiti più radicali cercano di aizzare le folle più misere.

Pakistan: le recenti elezioni hanno riportato al potere Nazaw Sharif, già due volte al comando del Paese, che ha avuto la meglio sul partito riformista del campione di cricket Imran Khan. I brogli paiono avere avuto un gran ruolo nei risultati elettorali. Va comunque registrata un’affluenza alle urne inattesa. Voglia di partecipazione.

Afghanistan: mentre scoppiano giorno dopo giorno scandali finanziari che coinvolgono anche i massimi vertici delle forze di occupazione occidentali in combutta col presidente Karzai, il ritiro delle truppe statunitensi e dei suoi alleati appare ancora una chimera.

Iran: s’avvicinano le elezioni presidenziali. La guida suprema Khamenei e i Guardiani della rivoluzione hanno escluso dalla lista dei candidati il consuocero di Ahmadinejad, Mashai, e l’ex presidente Rasfanjani. Le tensioni politiche non riescono più a nascondere il profondo malcontento di larga parte della popolazione.

Caucaso russo: la polveriera cecena e inguscia continua a essere accesa, nonostante le rassicurazioni di Putin. È di ieri la notizia dell’uccisione a Nazran, capitale dell’Inguscezia, di Zhamaleil Mutaliev, braccio destro del leader indipendentista Doku Umarov. In Daghestan, nel frattempo, continuano gli attentati alla bomba: è di un paio di giorni fa la morte di quattro persone nella capitale.

Iraq: pacificazione ancora lontana da venire, per la lotta senza quartiere che oppone sciiti e sunniti nel Paese. Lo testimoniano i continui attentati: il 21 maggio scorso, un’autobomba ha provocato 76 morti e 250 feriti.

Siria: le condizioni dei civili siriani, schiacciati dalla guerra civile, peggiorano di giorno in giorno e la diplomazia non riesce a far nulla. La Conferenza di Amman degli “amici della Siria” vede l’assenza dell’opposizione al presidente Assad, non invitata anche per la complessità della sua composizione, in cui le milizie finanziate dal Qatar si mescolano con i gruppuscoli vicini ad al Qaeda.

Bahrein: continuano, ormai da due anni, gli scontri tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita che detiene il potere. Il governo del re al Khalifa sta cercando di organizzare degli “incontri di riconciliazione”, ma l’opposizione li sta ancora boicottando, per protesta contro le brutali repressioni della polizia locale.

Striscia di Gaza: mentre il premier turco Erdogan cerca in tutti i modi di recarsi a Gaza, volendo diventare una sorta di leader musulmano regionale (non ancora un califfo), le tensioni con l’Egitto si sommano a quelle con lo storico nemico Israele. Il valico di frontiera nel Sinai viene ripetutamente chiuso, e le merci necessarie alla sopravvivenza del milione e mezzo di abitanti transitano ancora in massima parte per i tunnel scavati nel deserto.

Egitto: Piazza Tahrir non trova pace, le manifestazioni si susseguono e il governo di Morsi perde pezzi ogni settimana o quasi. La situazione economica sta precipitando, e gli Usa usano l’arma del ricatto economico per sostenere i Fratelli musulmani temperandone gli ardori religiosi. Ma chi ricatta chi? Le minoranze si vedono progressivamente defraudate dei loro diritti.

Libia: le milizie tribali, mai veramente smilitarizzate, alzano il tiro e non hanno più il timore di dettare la loro legge assediando persino diversi ministeri a Tripoli e rifiutandosi di obbedire al governo in carica. La produzione di petrolio “tiene”, ma l’opera di “normalizzazione” del dopo-Gheddafi non pare ancora vicina.

Mali e Repubblica centroafricana: continuano, nel silenzio, le operazioni delle truppe francesi in Mali. Le truppe filo-qaediste aspettano solo il loro ritiro per invadere nuovamente il nord del Paese. Nel frattempo, nella vicina Repubblica centroafricana regna il caos.

Tunisia: la tensione tra il partito di Ennahda al potere e i radicali salafiti provoca crescenti scontri in diverse città del Paese. I filo-occidentali, nel frattempo, paiono messi in un cantuccio dalle due forze preponderanti dell’agone politico. Si teme la saldatura tra le frange più radicali del governo e i salafiti.

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