La speranza del vescovo di Tripoli

Mentre le diverse fazioni in lotta cercano di sopravanzarsi, monsignor Giovanni Martinelli, vicario dei Latini continua a predicare pace e serenità. Intanto al Cairo i ministri degli esteri dei Paesi confinanti cercano una soluzione al conflitto
Cairo

All’altro capo del filo c’è la parrocchia cattolica di Tripoli (da giorni con l’elettricità a intermittenza), da sempre avamposto di quel “piccolo resto” di Chiesa che vive in Libia e c’è soprattutto mons. Giovanni Martinelli, . Le sue prime parole mi suonano paradossali: «Sono ottimista. Viviamo in una gioia profonda». Manifesto ovviamente la mia sorpresa: «Non devi stupirti, perché la situazione che stiamo vivendo va vista come uno dei tanti modi che il Signore trova per manifestarsi nella storia. Viviamo nella serenità di essere nelle mani di Dio». Francescano fino in fondo.

Naturalmente, nel prosieguo della conversazione, emergono i gravissimi problemi di un Paese lacerato dalle lotte tribali, «che hanno provocato dei terribili spargimenti di sangue in tutta la Libia e che manifestano uno stato di guerra civile in cui tutti paiono essere contro tutti». Fondamentalisti? «Sì, ma non si commetta l’errore di considerarli solo da una parte. Sono loro che spingono le rispettive “grandi famiglie” a scontrarsi le une contro le altre per l’acquisizione della supremazia politica sul Paese».

E tuttavia, ancora una volta, non bisogna disperare: «Oggi, o comunque in questi giorni, sono in corso delle trattative tra le diverse tribù per giungere a una spartizione del potere, se non proprio a una conciliazione. Abitando da tanto tempo in queste terre non posso che sperare in un possibile accordo che è possibile anche nel momento di massima contrapposizione». Sì, ci sono due governi; sì, il Parlamento è diviso in tre o in quattro fazioni; sì, ci sono sparatorie a non finire: «Ma da qualche giorno, fortunatamente, le esplosioni sono diminuite e questo fa ben sperare».

La comunità cattolica si è dimezzata, se non di più. La grossa presenza filippina, composta prevalentemente da infermiere, è in massima parte rientrata in patria, mentre sono rimaste le comunità cattoliche dell’Africa sub-sahariana, per le quali non solo è più difficile ipotizzare un rientro ma è anche più naturale convivere con la paura e le violenze. La chiesa di Tripoli non è stata toccata, e così quella di Bengasi.

«Certo, oggi si raccoglie quello che si è seminato negli anni scorsi», conclude mons. Martinelli. All’epoca dell’intervento francese, inglese e statunitense contro Gheddafi, nel 2011, mons. Martinelli con forza ci ripeteva che ciò avrebbe finito col far esplodere le rivalità tribali. Le sue e nostre perplessità le avevamo riassunte in dieci punti, che in massima parte si sono dimostrate più che reali. In effetti, oggi puntualmente si verifica quanto temevamo allora, che cioè il conflitto in Libia facesse esplodere le secolari tensioni interetniche e tribali che oppongono tripolitani e cirenaici e altri gruppi ancora, con l’esito finale possibile di una frammentazione del Paese.

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