La spada nella chiesa

Una chiesa poco appariscente del centro storico napoletano è legata ad un giuramento di Alfonso Maria de’ Liguori, il “santo del secolo dei lumi”
Foto della Chiesa di Santa Maria della Mercede a Napoli di Inviaggiocommons

A far compere natalizie in via San Sebastiano, a Napoli. Entro in uno dei tanti negozi di strumenti e attrezzature musicali per i quali è nota questa stretta arteria del centro storico: «Sa dirmi se esistono incisioni delle canzoncine popolari di sant’Alfonso?». Il giovane commesso dalla chioma impiastricciata di gel sembra cascare dalle nuvole. Al che, per aiutarlo, accenno al motivetto Tu scendi dalle stelle… L’altro s’illumina e, scoprendo un passato di chierichetto: «Ma sì, questa la conosco!…». Non diversamente nel film Amadeus di Milos Forman il sacerdote venuto ad assistere il vecchio e demente Salieri riconosce fin dalle prime note la popolarissima Piccola serenata notturna, di cui peraltro ignora l’autore: Mozart.

È così. Senza saperlo, noi respiriamo, parliamo, pensiamo nel solco dell’umanità che ci ha preceduti, dove punte emergenti sono certe personalità che hanno saputo “trafficare” i propri talenti a vantaggio delle generazioni future. Il loro, per così dire, è un polline che feconda a distanze temporali e anche geografiche stupefacenti.

Alfonso Maria de’ Liguori, che avendo riempito di sé quasi tutto un secolo, il XVIII, è stato definito “il santo dei secoli dei lumi”, appartiene a questa categoria privilegiata di uomini che hanno dato un contributo essenziale all’umanità e senza i quali non è azzardato ipotizzare che la storia stessa avrebbe preso un’altra direzione. Si potrà ignorare l’esistenza di questo napoletano di Marianella, non importa: egli è parte di noi. E certamente non solo per una canzoncina rimasta nel bagaglio della nostra memoria.

Primo di otto figli nati da Giuseppe Liguori, nobile cavaliere del seggio di Portanova nonché ufficiale superiore della marina militare, e da Anna Maria Caterina Cavalieri, Alfonso era un vero genio: a soli dodici anni s’iscrisse all’Università di Napoli, conseguendo quattro anni dopo, nel 1713, il dottorato in diritto civile e canonico, dopo aver sostenuto un esame col grande filosofo e storico Giambattista Vico. Grazie ad una speciale dispensa vicereale, già all’età di sedici anni cominciò ad esercitare l’avvocatura, frequentando al tempo stesso la Confraternita dei Dottori presso l’Oratorio dei Filippini, dedito ad assistere i malati del più grande ospedale di Napoli, quello detto “degli Incurabili”.

Dieci anni dopo, tuttavia, in seguito ad una cocente delusione professionale (la sconfitta in un importante processo), Alfonso deponeva il suo spadino di cavaliere ai piedi della statua della Madonna della Mercede nell’omonima chiesa, oggi anche a lui intitolata; chiesa poco appariscente che si trova proprio in cima a questa via di San Sebastiano, nei pressi del celebre Conservatorio Musicale di San Pietro a Majella. E lì inginocchiato pronunciò il giuramento: «M’impegno a entrare fra i padri dell’Oratorio». Non ci riuscì: solo all’età di trent’anni, come risultato di un compromesso con l’irriducibile genitore, che lo voleva sposo di una lontana parente e in carriera, venne ordinato prete diocesano con l’obbligo di mantenere la residenza nella casa paterna.

Febbrile la sua attività apostolica, specialmente fra il popolo più umile. Spiegava il Vangelo con modi semplici, non disdegnando di comporre allo scopo, in lingua sia italiana che napoletana, canzoncine che sarebbero diventate universalmente famose. Morì a tarda età nel 1787, dopo essere stato vescovo, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, autore di oltre cento opere ascetiche, dogmatiche, morali ed apologetiche (per le quali nel 1871 fu proclamato dottore della Chiesa), ma anche di testi popolari di immensa diffusione, veri best seller dell’epoca. È sepolto nella basilica di Pagani, in provincia di Salerno, venerato come patrono dei confessori, moralisti e teologi, e copatrono di Napoli.

E tutto perché quel 27 agosto 1723, in questa piccola chiesa di via San Sebastiano fondata nella seconda metà del XVI secolo da un’associazione sorta per riscattare i cristiani fatti prigionieri dai musulmani, il ventisettenne Alfonso depose con giuramento il suo spadino ai piedi della Vergine.

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