La sorprendente scogliera corallina di Monopoli

Una novità assoluta per il Mediterraneo, non soggetta a processi di sbiancamento e probabilmente molto estesa
Scogliera corallina di Monopoli (credit Scientific Reports)

Che sia complessa non c’è dubbio; che sia diversa da quelle tropicali anche. La scogliera corallina scoperta, nel 2019, al largo della costa di Monopoli, a sud di Bari, è una novità assoluta per il Mediterraneo. L’habitat coralligeno nel Mare nostrum non è certo una novità, ma qui siamo di fronte ad una realtà diversa che apre un nuovo capitolo negli studi dell’ambiente marino pugliese.

«La scoperta – racconta Giuseppe Corriero, ordinario di Zoologia e direttore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, coordinatore del gruppo di ricerca – è stata casuale, è avvenuta monitorando lo stato di conservazione dei fondali marini. Spingendoci più in profondità abbiamo trovato un ambiente di scogliera corallina che non immaginavamo potesse esserci nel Mediterraneo».

Non un sistema di grandi proporzioni come quelli tropicali, ma uno più piccolo, una sorta di ‘bonsai’. «Gli scogli – aggiunge il docente –sono edificati dall’accumulo di scheletri di madrepore (coralli, ndr) secondo un’architettura, un modello ecologico e paesaggistico che è esattamente riconducibile ad una scogliera corallina tropicale su scala più ridotta con la presenza di predatori di vertice importanti, tra cui dentici, cernie e grossi pesci».

La localizzazione è il basso Adriatico, le coste pugliesi per l’esattezza, ma non è detto che non vi siano realtà analoghe lungo le coste croate e del Montenegro. «Il sistema – riferiscono i ricercatori su Scientific Reports che ha pubblicato la scoperta – potrebbe essere ampiamente distribuito su scala mediterranea, analogamente a quanto descritto per il Mar Rosso».

Le scogliere scoperte in Puglia sono costituite da madrepore appartenenti alle scleractinie, un ordine dei coralli della sottoclasse Hexacorallia. Prevalgono, in particolare, le specie Phyllangia americana mouchezii e Polycyathus muellerae che, prive di alghe simbiontiche fotosintetiche zooxantelle, possono vivere in acque poco illuminate, mesofotiche, appunto, fino a 200 metri di profondità. «È un aspetto poco usuale nelle classiche scogliere coralline, dove l’attività si svolge costantemente in simbiosi con le alghe», spiega Giuseppe Corriero. «La presenza di scogliere costruite da scleractinie senza l’apporto di simbionti – annotano i ricercatori su Scientific Reports – porta a considerare che l’eterotrofia (uso di nutrimenti prodotti da altri, ndr) debba necessariamente svolgere un ruolo considerevole nei processi metabolici di tali specie, non solo nel sostegno del metabolismo basale ma anche nella deposizione di grandi quantità di carbonato di calcio».

Oltre alle madrepore, contribuiscono alla costruzione delle scogliere adriatiche ostriche di profondità, moltissimi vermi costruttori di tubi calcarei duri, numerose varietà di spugne e alcune specie di alghe e di briozoi.

Non è un caso che la scogliera si sia formata in Adriatico. «La ragione – dice Corriero – è probabilmente la ricchezza di nutrienti. Il Po arricchisce il Mediterraneo con il 15 per cento di acque dolci ricche di nutrienti (fosfati, nitrati…) drenati dalla Pianura Padana. In un bacino semichiuso, com’è l’Adriatico, questa situazione favorisce la proliferazione di specie che filtrano l’acqua, come le madrepore».

Correnti intermedie e profonde provenienti dal nord Adriatico ricche di sostanze nutritive, assicurano i ricercatori, raggiungono le coste pugliesi e alimentano microrganismi di scogliera che riescono a sviluppare forme maestose e massicce. «Esse – dice ancora l’ordinario dell’Università di Bari – suggeriscono che, in presenza di adeguate condizioni alimentari, nel Mediterraneo si possono formare vere e proprie scogliere coralline che, a differenza di quelle tropicali, non dipendono dalla luce».

Infatti, sebbene la zona mappata abbia un’estensione di 2,5 chilometri, è assai probabile che possa essere molto più ampia. Almeno 100 chilometri in direzione sud dal sito di studio e 50 verso nord. Un vero e proprio sistema che, al contrario di quelli tropicali, essendo indipendente dalle zooxantelle, non è soggetto a processi di sbiancamento. Chissà, magari potrebbe essere anche più resiliente rispetto ai cambiamenti climatici.

In questo momento l’attenzione dei ricercatori è puntata sulla riproduzione, aspetto fondamentale per comprendere i meccanismi di accrescimento. Quindi investire su queste ricerche, oltre che consentire la conoscenza approfondita di questi ambienti, potrebbe aiutare a trovare soluzioni per la conservazione. Argomento di stringente attualità, ma di difficile soluzione.

 

 

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