La solitudine dell’aborto chimico
Marina Casini è ricercatrice e docente presso l’Istituto di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. Di formazione giuridica, è da sempre impegnata sul fronte della difesa della vita (“uno di noi” è lo slogan famoso che identifica questa battaglia), in particolare nel Movimento per la vita, di cui è stata da poco eletta presidente.
Come è cambiato il mondo della bioetica in questi 20 anni?
Nel tempo le sfide sono aumentate, specialmente nelle “periferie” della vita, all’inizio e alla fine, quando cioè la vita dal nulla compare all’esistenza e quando è afflitta dalla malattia e dalla disabilità: accanto all’aborto chirurgico abbiamo oggi quello chimico (pillole Ru486, del giorno dopo e dei 5 giorni dopo), e anche sul fine vita le nubi si sono addensate. Ma penso che l’atteggiamento corretto non sia chiudersi in trincea e vedere tutto negativo, perché difendere la vita umana è un gesto che guarda al futuro, è una profezia. Bisogna avere speranza e fiducia nell’umanità. Giorgio La Pira diceva che «fa la storia ciò che lavora in profondità, non quello che si vede in superficie».
Dopo 40 anni la legge 194 resta sempre un argomento conflittuale…
Perché è fondamentalmente ingiusta. Ci sono parti che sembrano riconoscere il valore della vita, ma di fatto la legge legittima l’aborto nei primi tre mesi in qualunque situazione, tanto è generica. C’è chi dice che ha funzionato perché ha ridotto gli aborti registrati negli ospedali. Ma bisogna tenere conto che il crollo della maternità ha determinato anche la diminuzione delle donne in età feconda. Inoltre l’aborto chimico ha aumentato l’aborto clandestino.
I cattolici si interessano solo del bambino non nato e non delle donne con i loro problemi?
L’aborto è una sconfitta prima di tutto per le donne. Lo dico da donna e da mamma. È l’ideologia che ci ha fatto credere che sia una liberazione… Lo sanno molto bene i volontari dei Centri di aiuto alla vita.
Ma allora perché ci sono donne che abortiscono più volte?
Non bisogna giudicare le singole persone, ma la mentalità abortiva. La principale colpa della legge 194 è proprio quella di aver banalizzato l’aborto, tanto che oggi siamo arrivati alle pillole acquistate in farmacia. Chi lo fa ripetutamente è vittima di una mentalità, oltre che di una situazione sociale. Non mi meraviglio se una donna, specialmente se giovane e in certe circostanze, abortisce più di una volta. Ma nel tempo qualcosa torna sempre a galla. Gli psicologi e i sacerdoti lo sanno. Conosco donne che hanno abortito a 20 anni e a 50 ancora ci pensano.
A proposito di pillole, siamo tornati all’aborto solitario?
Oggi l’aborto veramente clandestino è quello dovuto alle pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo, che impediscono al concepito di annidarsi nell’utero e quindi lo espellono. Se si assume la pillola a ridosso di un rapporto sessuale, non è sicuro che il concepimento ci sia stato. Però si favorisce la mentalità per cui il frutto del concepimento sgradito va eliminato. Ovviamente più precoce è l’aborto, meno te ne accorgi… ma se è avvenuto il concepimento, quel figlio viene espulso nella più totale clandestinità.
Dopo aver preso la pillola, la donna si accorge dell’espulsione?
La donna non può sapere se il concepimento vi è stato, ma la pillola viene somministrata dopo un rapporto potenzialmente fertile. Da sola decide, da sola prende la pillola e alla fine non sa nemmeno se ha abortito. Qui non c’è coinvolgimento emotivo, ma se il concepimento è avvenuto, di fatto un figlio viene distrutto.
C’è stato un ripensamento negli anni su questo tema da parte delle femministe?
Per quello che so, da una parte c’è ancora la rigidità del vetero-femminismo de “l’utero è mio e lo gestisco io”. Un falso perché la scienza ormai ci ha fatto “vedere”, dentro quell’utero, come avviene l’inizio della vita di un nuovo essere umano, all’atto del concepimento. Una realtà meravigliosa che merita di essere contemplata. Dall’altra qualche ripensamento in alcune femministe storiche c’è stato: ricordo una riflessione sulla capacità femminile di accogliere il piccolo, col dubbio di aver sbagliato negando “questo piccolo dentro di noi”.
I consultori servono ancora?
Prevalentemente la loro funzione è intesa come accompagnamento verso l’aborto. Secondo la legge che li ha istituiti dovrebbero essere “familiari”, occuparsi della salute della donna e del concepito. In realtà quasi sempre servono solo a redigere il famoso documento per l’aborto. Oggi addirittura si vuole negare la presenza dei medici obiettori, una polemica che sembra suscitata per nascondere il fatto che l’aborto sopprime un essere umano. I medici obiettori non impediscono di abortire alle donne che lo decidono, semplicemente esprimono il loro sì alla vita, non collaborando all’aborto. E comunque l’obiezione di coscienza è un diritto che ha fondamento costituzionale, previsto dalla 194 e la libertà di coscienza è riconosciuta a livello internazionale.
Come mai la battaglia per la vita è perdente sul versante mediatico?
C’è una precisa strategia che vuole distogliere l’attenzione dal concepito, non se ne deve parlare, è il nuovo tabù. Parallelamente bisogna denigrare chi combatte per la vita. Ma io non mi ritrovo in certe caricature che ci fanno.
Come giudica le persone a favore dell’aborto?
Chi lavora nel Movimento per la vita non combatte col coltello tra i denti, vedendo in chi la pensa diversamente un nemico, non va avanti lancia in resta dicendo «solo noi abbiamo la verità». Lo stile è invece quello di proporre alla società l’attenzione all’ultimo degli ultimi, al più povero dei poveri come diceva Madre Teresa di Calcutta, col metodo assolutamente laico del dialogo, quindi facendo appello alla ragione e alla passione per la dignità umana che è di tutti e uguale per tutti. Cercando di costruire ponti di dialogo. Mi dispiace quando vedo che questo non è capito.
È difficile trovare un compromesso sull’aborto…
La gravidanza è una condizione particolarissima. Noi pensiamo che il figlio debba essere salvato non contro la madre, ma insieme alla madre. Sui metodi si può discutere. Ma riconoscere che il figlio è un essere umano fin dal concepimento è una «frontiera intransitabile», come diceva La Pira. La cultura della vita propone un messaggio, una speranza, un aiuto. L’opera dei Centri di aiuto alla vita (Cav) in questo senso è straordinaria: in 40 anni 200 mila bambini sono stati aiutati a nascere e le loro mamme ringraziano. I Cav si pongono al fianco delle madri con il metodo della condivisione e della solidarietà, di un’amicizia che poi prosegue nel tempo, e fanno spesso fiorire quel sì alla vita che già c’era dentro la donna ma soffocato da preoccupazioni, difficoltà e pressioni. Dopo di che, se la donna fa nascere il bambino e lo accoglie, benissimo, il merito è della donna. Se invece la donna fa un’altra scelta, nessuno la condanna, non è questo il compito dei Cav. Il loro motto è: «Le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà».