La soldata, la sindaca e l’avvocata e la battaglia contro la grammatica

Nel 2022 la Treccani ha introdotto nel dizionario nomi ed aggettivi al femminile. Niente di sconvolgente: per chi prega, nel Salve Regina si definisce da sempre la Madonna come la nostra avvocata. Ne torniamo a parlare, ripubblicando questo articolo di due anni fa della rivista Città Nuova, dopo la presentazione - e il rapido ritiro - di un disegno di legge del senatore Manfredi Potenti della Lega che voleva proibire l'uso del femminile negli atti pubblici.
La prima ministra italiana Giorgia Meloni al vertice del G7 a Borgo Egnazia (Brindisi), il 13 giugno 2024. Foto: ANSA/ETTORE FERRARI

Era sembrato uno scherzo, ma purtroppo non lo era. Per fortuna, il disegno di legge del senatore leghista Manfredi Potenti – che voleva vietare l’uso del genere femminile negli atti pubblici – è stato ritirato a stretto giro su “suggerimento” dei vertici del suo stesso partito che si sono affrettati a precisare – mentre divampavano le polemiche – che si era trattato di una iniziativa personale di Potenti, non condivisa dalla Lega.

Nello specifico, il senatore voleva vietare – pena multe fino a 5 mila euro ai trasgressori – l’uso del femminile rispetto a “titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge”. Quindi basta usare sindaca, questora, avvocata… Una questione vecchia, ma che non è stata adeguatamente digerita visto che periodicamente torna a far discutere. E forse non ha aiutato la scelta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni di usare il maschile, nei titoli, chiedendo di essere chiamata – senza troppo successo per la verità – “il” presidente. Ecco perché ripubblichiamo un articolo del 2022 della rivista Città Nuova in cui avevamo affrontato la questione.

Sta facendo molto discutere, in queste settimane, la decisione dell’Istituto Treccani (ente di diritto privato di interesse nazionale e importante istituzione culturale italiana) di inserire, nella nuova edizione del suo dizionario, le forme femminili di nomi ed aggettivi invece del solo “maschile prevalente”. In pratica, se oggi nei vocabolari troviamo solo “amico”, nella prossima edizione Treccani ci sarà anche “amica”, oltre a “bello” ci sarà anche “bella”.

La novità riguarda ovviamente anche le professioni: soldata, medica, architetta… A qualcuno suonano male, probabilmente perché alcune di queste finora sono state usate poco. Eppure sono le parole giuste, che si adattano per il genere alle donne che esercitano quel mestiere e che, inserite in ordine alfabetico, nel dizionario andranno a precedere i corrispondenti mestieri espressi al maschile: soldato, medico e architetto, semplicemente perché la A finale viene prima della O.

I vocabolari, naturalmente, non creano nuove parole, ma ne registrano il diffuso utilizzo. Ciò avviene perché l’italiano non è una lingua morta, ma in continua evoluzione: segue le mode e gli usi delle persone. Forse qualcuno ricorda, qualche anno fa, quella maestra di una scuola primaria che chiese all’Accademia della Crusca di approvare il termine “petaloso”, coniato da Matteo, un alunno del terzo anno della primaria che lo aveva usato per descrivere un fiore pieno di petali. Quel neologismo fu giudicato bello e chiaro, le persone cominciarono ad utilizzarlo, qualcuno si ricordò che era stato usato anche nel 1695 dal botanico inglese James Petiver e, ben presto, petaloso è entrato di diritto nei dizionari più aggiornati.

Ma torniamo al femminile delle professioni: qui non si tratta di neologismi, ma di seguire le regole della grammatica. L’uso del maschile anche per le donne, finora, era legato ad una cultura che riconosceva il maschile come il genere più nobile, forse anche per la mancanza o la scarsità di professioniste in determinati campi. Il maschile appariva più autorevole. Ma l’importanza viene attribuita dalla vita, dalle testimonianze: siamo noi che diamo valore a ciò che facciamo. E così, qualche temeraria professionista ha cominciato a chiedere di essere chiamata con il nome giusto dal punto di vista linguistico, ed è stata seguita da donne e uomini che, insieme e con un uso costante dei termini precisi, hanno portato all’inizio di una svolta culturale.

Le parole hanno un peso: si parla come si pensa. Il linguaggio cambia e così Liz Truss era stata giustamente definita prima ministra del Regno Unito. Margaret Thatcher, invece, pur tra le figure più importanti della politica britannica, era solo la “Lady (signora) di ferro”. Eppure, non si fa uno sgarbo alla storia e alla tradizione se si declinano i nomi al femminile: già Dante Alighieri, padre della lingua italiana, parlava di “ministra”, mentre Giambattista Vico scriveva senza timori “architetta”. E che dire della Madonna, che nel Salve Regina è da sempre la nostra “avvocata”?

In questo quadro, appare incredibile la decisione, la scorsa estate (nel 2021), del Senato di continuare ad usare il genere maschile (per es. “onorevoli senatori”) per tutti i suoi membri, senza rispetto per le senatrici, che pure erano un terzo del totale. Il “si è fatto sempre così” non può essere una scusa per un errore di grammatica, di senso e di cultura, soprattutto ad un tale livello istituzionale, in cui si dovrebbe rappresentare tutta la popolazione: l’uguaglianza passa anche per le parole.

A casa nostra, mio figlio ha risolto la questione per tutti qualche anno fa, quando andava alle medie. Ascoltando in televisione l’espressione: “la sindaco” ha espresso il suo disappunto spiegando: «Se è una donna si dice sindaca».

Non si tratta di cedere potere, di fare cortesie, di perdere tempo invece di concentrarsi su problemi più importanti. Non si tratta di essere politicamente corretti, ma di parlare correttamente l’italiano.

Culturalmente è arrivato il tempo di riconoscere, senza troppe remore e con i giusti termini, la dignità e la professionalità delle donne. E anche, aggiungiamo, stipendi adeguati.

Approfittiamo di questa occasione per riflettere sulla società in cui viviamo, sui suoi valori, sui cambiamenti che l’attraversano, sul futuro che vorremmo per noi, per le nostre figlie e i nostri figli, sulla possibilità che abbiamo ogni giorno, anche con le nostre parole, di cambiare il mondo, rendendolo più chiaro, vero, aperto, accogliente, inclusivo e rispettoso.

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