La società del rischio (globale)
Un’estate bruciante. Siccità e acqua razionata. Ondate di calore lunghe e frequenti. Seguite da nubifragi e allagamenti. Disagio, malessere, fastidio, insicurezza, timore per la propria salute.
Non solo in Italia, ma in Europa, America e Asia. Il cambiamento climatico non scherza. A causa dello scioglimento dei ghiacci, gli abitanti delle isole e delle zone costiere temono di dover prima o poi lasciare le proprie case per l’innalzarsi del livello del mare. Una modifica epocale del paesaggio planetario è in atto e i pensieri della gente, in tutto il mondo, sono sempre più dominati da un immaginario apocalittico, come di disastro incombente.
Effetti collaterali
Ormai è chiaro che l’industrializzazione massiccia degli ultimi secoli, con la modernizzazione tecnica ed economica, oltre a straordinari effetti positivi, ha portato anche una serie di conseguenze negative, non previste e non volute, come per esempio l’inquinamento e il riscaldamento del pianeta. Effetti globali, all’inizio trascurabili, che a poco a poco si sono rinforzati e diffusi a tal punto che nessuno può ormai illudersi di sfuggire il pericolo. Impressiona l’impotenza degli Stati, con le loro limitate e scoordinate politiche locali: nessuna nazione può far fronte, da sola, al rischio globale del cambiamento climatico. L’autonomia degli Stati sembra ostacolare la sopravvivenza dell’umanità. In altre parole, di fronte al rischio climatico, o si coopera o si muore.
Internet
Il fallimento delle politiche nazionali è ancor più evidente nel mondo della Rete. Accanto agli evidenti vantaggi della digitalizzazione, infatti, non mancano pesanti effetti collaterali negativi: il controllo delle informazioni personali, gli attacchi hacker contro Stati, aziende e persone, l’odio che si moltiplica nei social, la sorveglianza totale messa in atto, senza che ce ne rendiamo conto, da Stati e aziende private. Pensiamo al potere di controllo della Rete e dell’innovazione che hanno colossi mondiali come Google, Amazon, Apple, Facebook, i veri “attori globali” di oggi. Chi difende la nostra libertà dal potere invisibile? Gli strumenti politici e giuridici a livello nazionale non sono in grado di fronteggiare queste sfide. Ma non stiamo neanche andando verso uno “Stato mondiale”, come qualcuno spera; piuttosto verso «un potere centrale digitale anonimo che controlla la sfera privata (e pubblica) dietro una facciata di democrazia» (Ulrich Beck, La metamorfosi del mondo, Garzanti).
La guerra dei robot
Tra i rischi globali da cui la razza umana deve difendersi, c’è anche la minaccia dei robot-killer. È di poche settimane fa l’appello di Elon Musk (e altri pionieri dell’intelligenza artificiale) che ammonisce sui rischi legati allo sviluppo di “armi letali autonome”. In pratica micidiali aerei e robot capaci di decidere da soli, senza intervento umano, quando come e chi uccidere. Pensiamo a questi eserciti senza anima nelle mani di un dittatore o di un hacker senza scrupoli in grado di riprogrammarli. Alcune di queste armi letali sono già schierate alla frontiera tra le due Coree. Dopo la polvere da sparo e la bomba atomica, è la terza rivoluzione nell’arte della guerra: strumenti di distruzione “intelligenti e autonomi”, di potenza planetaria.
Turismo procreativo
Ci sono, però, anche altri effetti collaterali, più “personali”. Il successo delle tecnologie riproduttive, con la fecondazione artificiale, cioè il concepimento gestito dalla tecnologia medica, ha creato nuovi (prevedibili?) problemi che nessuno sa come gestire: pensiamo ai milioni di embrioni in sovrannumero abbandonati nelle banche del freddo o subito distrutti. Pensiamo alla selezione degli embrioni per impiantare nella donna solo quelli “sani”: la nuova industria del terzo millennio produce, in serie, feti “ottimizzati”. Pensiamo all’impatto, morale e giuridico, delle nuove forme di paternità e maternità – biologica, sociale, surrogata, anonima –, col rischio di una «irresponsabilità genitoriale organizzata» (Ulrich Beck). Con la conseguenza che tanti bambini non hanno più un riferimento di storia familiare: genitori, nonni, antenati. Ciò che era inconcepibile fino a poco tempo fa accade, mentre si creano “tragedie umane” di nuovo tipo. Accanto al “figlio-merce”, che si può comprare, e al figlio imperfetto, da abortire “nel suo interesse”, entra nell’immaginario collettivo il turismo procreativo, per cui i divieti etici e legali vigenti in uno Stato possono essere superati facilmente: basta passare la frontiera per trovare una diversa morale e poter quindi soddisfare i propri desideri.
Diseguaglianze
L’impressione è che tutte le istituzioni stiano fallendo, comprese quelle internazionali come Onu e Ue, che a volte sembrano più la somma degli egoismi nazionali che luoghi di coordinamento del bene comune. Anche i cosiddetti “esperti” non hanno la minima idea di dove stia andando il mondo, con la sua evoluzione veloce e tumultuosa. Lo vediamo nell’economia: la società si individualizza e si frammenta, mentre aumentano le disuguaglianze. Molti sottolineano, giustamente, come il progresso scientifico-tecnologico- industriale abbia portato vantaggi a tutti, ma pochi considerano la parallela e asimmetrica “distribuzione dei mali”, cioè i rischi globali derivanti dalla modernizzazione: insicurezza di vita, migrazioni forzate, terrorismo globale, confusione etica, dissesto finanziario e ambientale. Sono sempre i soggetti più vulnerabili in termini socio-economici quelli che ne fanno maggiormente le spese.
Sfera pubblica globale
È chiaro che di fronte a rischi globali servono risposte coordinate e globali. Per fortuna Internet ha dato all’umanità la possibilità di sentirsi unita, almeno nel campo della comunicazione, per la prima volta da quando, due o trecentomila anni or sono, un piccolo gruppo di homo sapiens sapiens (i nostri progenitori diretti) muoveva i primi passi in Africa. Oggi la potenza delle immagini e delle voci disponibili in Rete crea una sfera pubblica unica, nella quale le disuguaglianze esistenti diventano motivo di scandalo planetario. Ma se il quadro di riferimento della comunicazione non è più questa o quella nazione ma l’umanità nel suo insieme, allora forse cambia la percezione del mondo e si capisce che le sfide globali si possono affrontare solo insieme. Il pericolo ci costringe a unirci. Pian piano entra nella mente dei popoli che abbiamo un destino comune. Ma come collaborare? Ci sono esempi positivi all’altezza delle sfide?
Comunità di destino
Il primo esempio, banale, è l’accordo per il clima di Parigi, pur con tutti i suoi limiti e i suoi nemici. La presa di coscienza ecologica è stata favorita dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, capo della Chiesa cattolica, uno dei pochi organismi a diffusione mondiale, capace di agire localmente senza smettere di tendere all’obiettivo del bene comune globale. Nel campo di Internet, Icann – l’ente privato che mette insieme governi, aziende, gruppi di utenti, associazioni non governative ed esperti tecnici –, è un esempio efficace di coordinamento planetario della Rete. Altro modello concreto è la comunità scientifica mondiale, che coopera con idee, esperimenti e un metodo unico, al di là di frontiere, razze e culture. Anche gli accordi frequenti tra città metropolitane per lo scambio di esperienze e buone pratiche, creano “spazi comuni di responsabilità” basati sul senso di cittadinanza degli abitanti. Qualcosa si sta facendo per rispondere alle sfide e ai rischi globali. Molto altro si può e si deve mettere in cantiere. Perché l’umanità è sempre più un’unica comunità. Con unico destino.