La società complessa, un nuovo modello economico e politico

Analizziamo un nuovo paradigma politico ed economico nella società complessa. Pubblichiamo di seguito le parole dell'economista e docente universitario Leonardo Becchetti
Foto ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

«Come ci poniamo di fronte ai grandi problemi del nostro tempo? Siamo solo spettatori, parte del problema o parte della soluzione? Siamo fermi sul divano o siamo in azione per dare un nostro anche piccolo contributo? Perché è su questo che si gioca la felicità e la ricchezza di senso della nostra vita». Così scrive Leonardo Becchetti, noto economista civile, docente di Economia politica presso l’Università  di Roma Tor Vergata, nel suo libro “Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico” edito Minimum Fax 2024. Questa pubblicazione condivide in altri termini la finalità di questa rubrica: ripensare il pensiero anche in politica per rivitalizzare la democrazia.

Il sistema sociale ed economico sotto i nostri occhi produce gravi disuguaglianze sociali, povertà, depressione, fuga dal voto fino a minacciare la stessa democrazia. Molte sono le domande che ci poniamo. Il paradigma economico può essere riformato? È possibile trasformare il sistema politico italiano a partire da un nuovo paradigma di pensiero politico? Sappiamo che la democrazia non è un diritto acquisito per sempre ma che dobbiamo conquistarla ogni giorno con il nostro impegno, rimettendoci in gioco.

Vinceremo la sfida della crisi climatica e della transizione ecologica? L’intelligenza artificiale ucciderà il lavoro o ne creerà di nuovo? Il voto con il portafoglio può cambiare il sistema? Inutile aspettare sovrani illuminati, soluzioni dall’alto, mani invisibili. Dobbiamo impegnarci concretamente con la cittadinanza attiva, con la partecipazione politica, per trovare insieme alla comunità la soluzione ai problemi, per ottenere ricchezza di senso nella nostra vita.

I problemi politici sono più complessi di quelli individuali e relazionali. Si tratta di un gioco con milioni, se non miliardi di giocatori. Pensiamo, ad esempio, alla crisi climatica, con scelte giuste e miopi di tanti attori. Non esistono mani invisibili o meccanismi automatici che possano risolvere i problemi. Serve la partecipazione attiva dei cittadini mediante il voto con il portafoglio per consumi e risparmi, amministrazione condivisa nelle città, comunità energetiche, cooperative di comunità etc. Se non combattiamo per guarire la democrazia attraverso forme concrete e attive di partecipazione, in una società complessa, tutto rischia di andare in malora.

Il nuovo paradigma economico e politico ci impone di andare oltre l’homo oeconomicus alla ricerca di felicità, generatività, nell’armonia delle relazioni. Lo “spartito” per questa musica c’è già: reddito, salute, istruzione, libera iniziativa, legalità, gratuità. La felicità privata è anche pubblica e si esprime in ricchezza di senso di vita. Abbiamo la legge della generatività dentro di noi come l’ossigeno per vivere. Siamo felici solo se possiamo far felici altre persone. L’indicatore di benessere si manifesta nel desiderare, far nascere, accompagnare, lasciar andare (Eriksson). La felicità esiste ma è faticosa. Richiede impegno sociale, partecipazione civica e politica, beni di stimolo e non solo beni di comfort.

La democrazia della complessità deve basarsi allora su spiritualità, sport, cultura, impresa civile, competenze. Più appassionati alla vita con più relazioni significa essere più  felici (Scitovski). Bisogna cambiare il paradigma a partire dalle scuole, dai giornali, dalle famiglie e comunità locali. Va formato l’uomo relazionale e generativo. La vera partita si gioca qui con la cittadinanza attiva, con la partecipazione contro la politica del leader calata dall’alto, attraverso i civici come minoranze creative e attive, fino ad arrivare alla sfida politica come già avviene in economia con le reti Asvis, Next, Symbola etc. Lo “spartito” di Piano B, con le parole generative e le buone pratiche in rete, va in questa direzione. Occorre attrarre i tanti politici generativi, andare verso l’amministrazione condivisa, le comunità energetiche, le cooperative di comunità, le case della comunità.

Lei, Prof. Becchetti, da economista civile, da “medico sociale”, da “narratore di vie di uscita”, si pone il grande problema di “guarire la democrazia”. È possibile raggiungere l’obiettivo senza “ripensare il pensiero politico” al tempo della complessità?

Assolutamente no. Per semplificare diciamo che dei tre principi della Rivoluzione francese nati nel solco della tradizione delle radici del cristianesimo e della cultura classica, sono stati sviluppati ed approfonditi soprattutto quelli della libertà (il pensiero liberale) e dell’eguaglianza (il pensiero socialista). Il principio della fraternità è finito in soffitta. I motivi sono comprensibili perché nell’ancien regime si abusava di un concetto di falsa fraternità per perpetuare relazioni di subordinazione e di sfruttamento tra classi sociali. Il principio della fraternità tra eguali però è fondamentale e senza di esso gli altri due non stanno in piedi e creano società disumane. Il filo conduttore del ripensamento del pensiero politico è nella riscoperta dell’intelligenza relazionale, che parte dal riconoscimento dell’importanza fondativa delle relazioni (oggi evidente in tutte le frontiere delle scienze sociali, dalla psicologia, alla sociologia, all’economia) che significa dono, fiducia, cooperazione e che è in grado di promuovere al contempo la fioritura della vita umana e il progresso sociale verso il bene comune.

Mentre è chiaro da anni il nuovo paradigma economico da implementare, attraverso molti suoi libri, di Zamagni, Bruni e altri, non altrettanto chiaro è il nuovo paradigma politico da elaborare e diffondere nelle accademie e nelle buone pratiche. Cosa può  dirci in proposito?

Proseguendo su quanto detto in precedenza, il punto per me assolutamente chiaro è portare in politica il principio della fraternità, della cooperazione, della fiducia e del dono, insomma il paradigma dell’intelligenza relazionale. Tutto questo ha infinite declinazioni e incarnazioni pratiche. In campo sindacale significa il primato della contrattazione (quando datori di lavoro e sindacati sono propriamente rappresentati e c’è equilibrio di poteri) e l’importanza di introdurre forme sempre più evolute di partecipazione dei lavoratori nella vita dell’impresa. Nel campo del welfare significa centralità dell’amministrazione condivisa, ovvero del dialogo e della co-programmazione tra amministratori, enti di terzo settore, aziende profit per affrontare le questioni inerenti alla lotta alla povertà, sanità, servizi sociali. In qualunque campo del pensiero e della vita politica l’applicazione del principio della fraternità e delle relazioni produce soluzioni migliori e genera come effetto collaterale civismo, partecipazione, cittadinanza attiva, che sono tra l’altro i sali minerali dell’albero della democrazia.

Forme di democrazia partecipativa e deliberativa dal basso, di cittadinanza attiva fino a patti di amministrazione condivisa nei territori, possono essere sufficienti per cambiare il pensiero e il sistema politico attuale, in assenza di una legge sui partiti e di una buona legge elettorale? 

Abolire il finanziamento pubblico dei partiti è stata considerata una misura di progresso mentre è vero esattamente il contrario perché la dipendenza dalle lobbies economicamente più ricche di partiti e candidati è aumentata e con essa la plutocrazia, ovvero una democrazia dove gli eletti portano avanti l’agenda dei più ricchi come dimostra concretamente l’evoluzione dei nostri sistemi fiscali e il paradosso dei “miliardari patriottici” che chiedono di essere tassati di più perché si vergognano di avere un’aliquota effettiva inferiore a quella dei loro dipendenti. La nostra legge elettorale a livello locale funziona benissimo ed assicura ricambio e governabilità. A livello nazionale la questione è più complessa. Certo l’economia civile e il paradigma relazionale hanno come capisaldo la partecipazione e la cittadinanza attiva che è il contrario dell’infatuarsi a turno del leader più abile a comunicare identificato nell’uomo della provvidenza per poi dopo l’inevitabile delusione farlo cadere e precipitare.

Cosa possiamo fare concretamente nel nostro paese per fare passi avanti in questa direzione?

Dobbiamo partire dai nostri punti di forza che ci sono ed esistono. La vitalità della società civile che produce innovazione sociale ed elabora soluzioni ai tanti problemi sul campo. La vivacità culturale e la capacità di organizzare eventi importanti. La forza e l’organizzazione delle nostre reti e la presenza di filoni di pensiero che si vanno progressivamente affermando ed estendendo. Su questo dobbiamo innestare progressi in grado di farci fare ulteriori avanzamenti. Il progetto di Piano Bi, uno spartito per l’Italia, lanciato qualche mese fa con 15 colleghi autorevoli va proprio in questa direzione, offrire al paese lo spartito di una visione politica ispirata alla fraternità e all’intelligenza relazionale andando a colmare un grande vuoto. Sono felice che alle Settimane Sociali dei cattolici di Trieste lo spartito sia stato considerato e citato da molti, a partire dal presidente del comitato organizzatore Mons. Renna e dagli oltre 90 amministratori locali autocostituitisi e riuniti. Ma la nostra ambizione, dichiarata in principio, è più vasta ed è quella di parlare a tutto il paese, dalla sinistra alla destra. Lo spartito avrà successo quanto più avvicinerà forze politiche vecchie e nuove ed opinione pubblica a quella visione. Che se vogliamo era il punto di partenza di quest’intervista.

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