La sinfonia del nuovissimo mondo

Un concerto al Maggio Fiorentino, diretto da Glass Marcano, svela con le note di Dvořák una società in rapidissimo cambiamento. In meglio
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Non mi era mai capitato che in uno dei massimi templi della musica, il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, di fronte a una sala piena di amanti del classico, vedessi salire sul podio del direttore una donna (e va bene), di soli 29 anni (e va bene ancora), dalla pelle non certo caucasica (però, notevole), vestita in tunica blu calzando scarponi da rapper (mamma mia, vi ricordate Scarpantibus?), di nazionalità venezuelana (oh Dio!), che si muoveva come un felino della foresta (oltre l’immaginabile). E dunque, signore e signori, ecco a voi Glass Marcano!

La direttrice si becca alla fine 7 minuti e 33 secondi di applausi, per un programma non proprio classico, un’ode all’America a tre giorni dalle elezioni statunitensi: Leonard Bernstein (due brani da West Side Story, e uno dal Candide) e Antonin Dvořák (sinfonia n° 9 in mi minore Dal nuovo mondo). Grande profusione di ottoni e di percussioni, e un’orchestra che ulula slogan e fa schioccar le dita. Ma dove siamo finiti?

Non siamo in un “nuovo mondo”, ma in un “nuovissimo mondo”, che in fondo non è poi così male, tutt’altro. Alcuni motivi spingono a pronunciare una tale affermazione: in primo luogo, ormai i mestieri più maschili per tradizione sono appannaggio anche delle donne (evviva!); e poi la mondializzazione ha finito col proporre grandi interpreti musicali anche di provenienze non consuete (doppio evviva, sapendo pure che l’orchestra conta elementi di 10 nazionalità); siamo nell’epoca dell’ibrido, e così accanto alla tradizione musicale classica si fa spazio nei templi delle 7 note anche quella contemporanea (tutto ciò appare ovvio e benaugurante); altra novità non di poco conto è l’età, visto che il direttore d’orchestra titolare al Maggio è il grande Zubin Mehta, che potrebbe essere non solo il padre, ma pure il nonno o il bisnonno di Glass Marcano (però, complimenti a entrambi); in onore della flessibilità del lavoro, nell’orchestra vi sono alcuni elementi che non sono stabili al Maggio, ma free lance, c’era un trombettista che ha fatto faville (non male).

Che dire, allora, di un concerto che la giovane direttrice d’orchestra venezuelana ha gestito con equilibrio, forza e, a modo suo, con grazia? Che nel nuovissimo mondo le frontiere non vengono abolite, ma svolgono appieno la loro funzione di apertura al diverso da sé, e non solo quella di preservare l’identità di un popolo. I confini dicono che fin lì ci siamo noi, ma anche che appena al di là c’è gente diversa da noi, egualmente degna, egualmente destinata a rappresentare un brano di umanità, egualmente ricca di identità e corrispondente capacità di dialogo.

E che dire, ancora, di una società che sa innovare? Che più che mai appare evidente che la metafora della sinfonia applicata ai gruppi sociali è realistica, non è solo una metafora ma è anche un modello. La società può apparire sempre più il luogo dove trionfa l’individualismo, il solipsismo, la ricerca spasmodica di un’identità spesso poco chiara, fluida se non addirittura liquida. Ma una società di solisti non può funzionare; sì, qualche tenore e qualche soprano serve, ma che farebbe senza primi e secondi violini, senza violoncelli e trombe e oboe, fagotto e controfagotto? Nulla. Una società compiuta non è neppure un’oligarchia, un quartetto d’archi o un duo flauto-violino, che andrebbero bene per un po’, ma poi stancherebbero. C’è bisogno di apertura e molteplicità, non di uniformità.

Il nostro mondo, per fortuna, è un poliedro, non una piramide (monarchia), né una sfera (anarchia), né un cubo (oligarchia), ma un poliedro che ha tante facce quanti sono i popoli, anzi quanti siamo noi su questa terra. Non è facile gestire un tale concentrato di relazioni – immaginate in un poliedro la quantità di collegamenti tra i diversi punti di congiunzione delle diverse faccette −; ma è l’unico modo di valorizzare la diversità e nello stesso tempo di esaltare l’armonia, come un’orchestra sinfonica, appunto.

p.s. Glass Marcano, per chi non lo sapesse, nata nel 1995 a San Felipe in Venezuela (nome completo Gladysmarli Del Valle Vadel Marcano), ha amato la musica sin dai primi anni di vita; a 8 anni ha cominciato a studiare il violino al conservatorio. È emersa nella geniale iniziativa di José Antonio Abreu, chiamata El Sistema, per ridare speranza a tanti giovani e giovanissimi del Venezuela attraverso la musica. Ha preso in mano la bacchetta a 12 anni, nel 2018 è diventata direttrice dell’Orchestra sinfonica del suo conservatorio, mentre studiava giurisprudenza a Caracas. Nel 2019 il colpo di fortuna, o della provvidenza: un concorso all’Orchestra Mozart, che la porta nel 2020 a Parigi, sconfiggendo 220 concorrenti e soprattutto le restrizioni da Covid. L’Orchestra di Tours le ha poi permesso di affermarsi a livello francese e poi mondiale. Una favola vera. Anzi no, una realtà.

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