La Sicilia, un vescovo e la guerra dei droni
L’incontro con il vescovo di Caltagirone a Roma avviene durante i lavori della conferenza episcopale nell’Aula Nervi in Vaticano. La vicina piazza san Pietro è, come sempre, piena di persone esposte ad un ancora gradevole sole primaverile che sa di festa. Colpisce in monsignor Calogero Peri, padre cappuccino e teologo, la mitezza personale associata ad una francescana chiarezza di posizione su questioni concrete come la gestione dell’immigrazione e il Muos di Niscemi, che apre delicate questioni di politica internazionale affrontate nelle precedenti interviste a due generali, Mini e Camporini, che hanno ricoperto ruoli di massimo vertice nelle Forze armate italiane, maturando decisioni divergenti su temi decisivi di strategia militare e non solo.
Si rimane sorpresi dalle sue dichiarazioni pubbliche relative all’installazione delle antenne satellitari della marina statunitense nel bosco della sughereta di Niscemi..
«Il nostro territorio sopporta troppe aggressioni senza ricevere alcun vantaggio. Viviamo nel paradosso. Ad esempio le raffinerie di Priolo e Milazzo, come il petrolchimico di Gela, continuano a inquinare con gli idrocarburi e i siciliani pagano la benzina più degli altri. C’è un’evidente volontà politica a che le cose vadano in questo modo. Il caso del Muos ci ha fatto scoprire le 44 antenne già in funzione e di cui si ignorava l’esistenza. Sapevamo solo dell’incremento dei tumori al sistema linfatico in quella zona. I grandi investimenti avviati spiegano il recedere di molti dissensi nel tempo».
Cosa ha cercato di fare davanti a questa situazione?
«Ne ho parlato con i confratelli della conferenza episcopale siciliana, ma mi hanno risposto che esistono pareri contrastanti sulla nocività delle antenne e questo è un dramma perché ci sono seri studi che confermano la pericolosità degli impianti e nel dubbio ci vuole un criterio di giudizio coerente. Dobbiamo aspettare la certificazione dei decessi nel tempo per essere sicuri del nesso eziologico tra malattie e antenne? Comunque mi sembra incontrovertibile un fatto: la sede del Muos è un obiettivo militare sensibile a livello mondiale. Praticamente tutta l’Isola è coinvolta da questa decisione che ha ignorato ogni principio di autodeterminazione con la giustificazione della copertura del segreto militare. Si tratta di dispositivi che non appartengono all’Italia e i governi nazionali potevano opporsi offrendo motivazioni ragionevoli».
In effetti, è quanto ci ha confermato nell’intervista a cittanuova.it il generale Fabio Mini…
«Resta comunque il dubbio sull’incertezza delle rilevazioni scientifiche. Posso capire il dissenso tra tesi filosofiche, ma non tra dati che si possono misurare stabilendo delle soglie di pericolosità. Una cosa è una rilevazione di qualche giorno o mese e un’altra è l’esposizione giornaliera per anni e decenni. I medici di base di Niscemi, invitati ad un incontro di riflessione organizzato nella mia diocesi, hanno denunciato la presenza di casi di leucemia in percentuale superiore alla media. Esistono statistiche che ogni sanitario può evidenziare dai propri archivi. La mancanza di una raccolta sistematica dei dati si giustifica anche con il fatto che solo l’emersione del caso Muos ha evidenziato l’esistenza sul territorio del centro trasmissione dati militari più grande del Mediterraneo».
E però sul caso c’è stato sempre un rimando ai prevalenti interessi nazionali di fedeltà ai nostri alleati.
«Se, come dice Obama, “la libertà ha un prezzo”, bisogna capire chi e come deve pagare il sacrificio e in cosa consista. La nostra vita? È necessario parlare apertamente e perciò mi ha colpito la risposta ufficiale dell’amministrazione Usa ad un’istanza del consiglio comunale di Niscemi: davanti alle questioni su sicurezza e salute, la risposta è andata fuori tema e tutta incentrata sull’amicizia tra i due Paesi e la creazione dei posti di lavoro nella costruzione del Muos».
Come sottolinea il generale Mini, gli americani invitano correttamente a rivolgersi al governo italiano. Quando questo è avvenuto, tuttavia, come nel caso della base di Vicenza, i governanti italiani hanno usato il concetto di “guerra giusta”. Con queste premesse non esiste il rischio di esporre al pericolo chi continua a dissentire contro un’opera dichiarata di importanza strategica nazionale?
«Innanzitutto il concetto di guerra giusta non è più sostenibile ed è strumentalizzabile da ogni parte in causa. Di fronte al pericolo ci sono le “mamme no Muos” che dicono: “preferiamo esporre la nostra vita piuttosto che quella dei nostri figli”. Resta inspiegabile questa incertezza sulla reale nocività di strumenti destinati ad esercitare il controllo satellitare su un quarto del pianeta, quando si discute della pericolosità di quelle dei telefonini. Giustamente si stanno smantellando quelle della Radio Vaticana, ma queste non sono neanche paragonabili con quelle del Muos».
Quale è la missione di una Chiesa come quella di Caltagirone, un luogo emblematico dell’autonomia e dell'impegno dei cattolici?
«Davanti al gigante di fronte al quale non si può far niente, bisogna saper vincere il senso opprimente della rassegnazione impedendo che si compia un triste destino per questa terra giustamente definita la “perla del Mediterraneo”. Bisogna sostenere chi reagisce di fronte ad un silenzio voluto da chi ha forti interessi in gioco da salvaguardare. Ma la questione Muos, con la guerra affidata ai droni, mette in evidenza l’emergere di problemi nuovi che non possiamo gestire con criteri antichi. Non è un problema locale, ma del destino dell’umanità che deve chiedersi a quali meccanismi sono affidati le scelte concrete e decisive sulla guerra e la pace. E su questo punto la Chiesa è chiamata a ribadire la centralità dell’essere umano e la sua responsabilità».