La Sicilia senza confini di Roberto Zappalà
La Sicilia non esiste, diceva Gesualdo Bufalino. Ci sono cento Sicilie e ognuna ha altrettante interpretazioni. Quella evocata nello spettacolo “Instrument 1 – scoprire l'invisibile” non è un viaggio dentro alcuni dei suoi luoghi comuni come potrebbero far pensare l'uso del marranzano e la sequenza iniziale.
Nella costante penombra della scena, un gruppo velato e dalle gonne strette, rigorosamente in nero come nella più stereotipata tradizione, avanza battendo i tacchi a intervalli ritmati. Queste sagome femminili si bloccano, scrutano, sospirano. Si inginocchiano, siedono a terra, si fanno il segno della croce, mandano baci, gridano. Le loro movenze sono di donne, di vedove luttuose che snocciolano litanie di gesti trattenuti, pudichi. Se non rivelarsi, in realtà, tutti uomini nello strappo improvviso dei vestiti sotto una luce di colpo abbagliante e di una canzone pop allegramente ironica con la quale ammiccano col pubblico. Dunque, sotto il vestito niente, altre identità a spiazzare – da questo momento, e in avanti, dello spettacolo – qualsiasi stereotipo sulla sicilianità.
Eppure il catanese Roberto Zappalà, coreografo e danzatore di respiro europeo, non rinnega la sua terra, fonte d'ispirazione del suo fare danza. Anzi, vi è fortemente radicato con la sua compagnia che festeggia i25 anni di attività. Nell’ambito dei festeggiamenti avviati, ecco riproporre lo spettacolo che più ha diffuso nel mondo il suo nome. “Instrument 1- scoprire l'invisibile” ha rappresentato la prima tappa di una trilogia in cui Zappalà ha liberato il movimento dalla drammaturgia per soffermarsi sul corpo nella sua relazione con il suono, il rumore, la musica.
L'idea drammaturgica, per il coreografo, è solo l'origine di un'estetica per approdare a uno stile di danza. In “Instrument 1” egli sublima le logorate immagini di credenze, concetti e abitudini della Sicilia attraverso una danza pura, vigorosa, d'urto, che segue e incalza le vibrazioni del marranzano dalle inedite e innovative sonorità.
Sulla musica dal vivo dei tre Lautari i sette danzatori, dalle tuniche color terra, intrecciano scatti felini, nervosi, velocissimi, con pose scultoree, languide movenze, corse affannose che cedono il passo a soste che immobilizzano le membra in un'arcaica attesa. È l'inerzia a staccarsi da terra, a intraprendere attività, a distillare il tempo. Ma appena il balzo è fatto, l'energia esplode, corale o solitaria, furibonda. E determina relazioni, scompagina le traiettorie. Così, una pacca sulla spalla, data e ridata, si trasforma in lotta, un abbraccio in mischia, uno sguardo in significati moltiplicati. Pur riscontrando chiari e ironici riferimenti a una gestualità tipicamente siciliana dove i movimenti delle mani che toccano parti del corpo o delle braccia che sottintendono allusioni oltre le parole rimandano a un radicato immaginario iconografico, la coreografia tende a un’astrazione che è respiro e poetica del movimento stesso. Il corpo del danzatore diventa strumento di indagine delle sue potenzialità. Lo ribadisce al microfono un danzatore del gruppo che recita: «Ascolta la musica del tuo corpo, e balla». E sciorina frasi, nomi e accostamenti improbabili, quale invito a tutti e sempre a danzare, mentre a lato freme il gruppo in una danza travolgente che si scatena e ci sommerge in un finale di dirompente solarità.
Coreografia e regia Roberto Zappalà, musica originale (dal vivo) Puccio Castrogiovanni, testi di Nello Calabrò, luci e costumi Roberto Zappalà. Una coproduzione Compagnia Zappalà Danza – Etnafest Arte – Scenario Pubblico – uva grapes contemporary dance festival.