La sfida di un Israele senza odio

Le ultime elezioni politiche vedono un Parlamento diviso a metà, con il premier Netanyahu meno potente e Lapid in ascesa. Ci restituiscono l'immagine di un Paese che investe sul futuro e che intende difendere i diritti sociali e civili. E Peres è il vero leader di questo Israele senza odio: il punto di unità sui temi ineludibili del dialogo e della pace. Un commento del consigliere per la cooperazione internazionale del governatore della Regione Toscana
Shimon Peres

Le elezioni politiche che si sono tenute il 22 gennaio in Israele hanno prodotto un risultato sorprendente e inatteso, secondo i giornalisti e i commentatori più autorevoli. Tutti avevano previstola vittoria di Bibi Netanyahu e invece oggi il Parlamento israeliano si ritrova spaccato in due, con sessanta parlamentari per il centrodestra e sessanta per il centrosinistra.

Ai primi di agosto dello scorso anno, ho avuto l’onore di essere ricevuto dal presidente dello Stato d’Israele Simon Peres. Abbiamo parlato per tre quarti d’ora. Io sottolineavo in particolare il venir meno della sua leadership in ordine al processo di pace e al dialogo. Lui, premio Nobel per la pace, rischiava di terminare la sua carriera politica come numero due di Netanyahu, tanto si era appassita la sua voce. Nel dialogo lo divertì molto il paragone che io feci con il presidente Napolitano. Li univa la coabitazione difficile con il rispettivo Primo ministro, ma Napolitano era stato capace di tenere unito il Paese, senza aprire conflitti istituzionali, anche senza negare e nascondere la sua parola autorevole.

Negli ultimi mesi la voce di Peres si è fatta sentire a sostegno del processo di pace in modo forte e autorevole, come molti osservatori politici hanno sottolineato. In questo modo il presidente israeliano ha dato voce a una domanda di pace e di dialogo, presente nel Paese, in maniera pressante, marcando una differenza netta rispetto alle posizioni del Primo ministro.

La seconda guerra di Gaza ha mostrato che con Hamas è necessario trattare e che una politica esclusivamente militare non si regge nel tempo, perché isola pesantemente Israele dal contesto internazionale. Accanto a questo c'è poi stata la vittoria dell’Anp, che ha ottenuto il riconoscimento, pur simbolico, dello Stato della Palestina alle Nazioni Unite, con il contributo significativo dell’Italia. Questo processo ha mostrato la fragilità del disegno del Primo ministro israeliano.

Da questo, la posizione del governo israeliano ne esce fortemente indebolita anche di fronte alla sua opinione pubblica. Quando il Primo ministro ha anticipato le elezioni politiche tutti pensavano a una vittoria nettissima di Netanyahu, ma il Paese voleva essere governato a partire dalla crisi economica denunciata con importanti manifestazioni da giovani israeliani nel 2011 e non dagli interventi militari contro i palestinesi.

Con i suoi interventi pubblici, Peres ha riaperto invece il dialogo con il popolo palestinese, che in certi momenti della camapagna elettorale ne è uscito fortemente indebolito. Quindi il risultato di  queste elezioni politiche alla fine rafforza la posizione di Peres come punto di unità del Paese sui temi ineludibili del dialogo e della pace.

Molti hanno scritto che la questione palestinese non era nell’agenda di queste elezioni politiche israeliane. E per certi versi questo è vero. Ma quando si parla delle questioni economiche e delle tasse non si può mai dimenticare quanto costa l’esercito ai cittadini israeliani e quanto costa l’intero sistema di sicurezza, né la gente ha dimenticato i missili lanciati su Gerusalemme e su Tel Aviv.

Il vero vincitore delle elezioni è Lapid, con la sua lista di centro, che è diventata il secondo partito del Paese perché ha affrontato temi concreti dela vita dei cittadini, dalle tasse imposte ai ceti medi urbani, su cui gravano le spese pubbliche, a quelle imposte a religiosi e disoccupati volontari, perché dediti allo studio della Torah. La sua contrarietà all'esenzione dal servizio militare degli studenti religiosi ortodossi, gli ha fatto guadagnare consensi e Netanyahu, politicamente azzoppato dai risultati delle urne, dovrà tentare accordi per garantirsi una stabilità di governo.

La leader pacifista israeliana Zahava Gal-On ha commentato: «Dalle urne è emerso un Israele che investe sul futuro, che intende difendere i diritti sociali e civili, che non considera gli anziani, le madri single, i giovani che si battono per non essere condannati al precariato a vita come dei fardelli di cui disfarsi. L'Israele uscito dal voto non vuole fare della religione un dogma assoluto dove la Torah si faccia Stato. È l’Israele che crede sia importante difendere Medinat Israel (lo Stato d’Israele), piuttosto che Ertz Israel (la terra d’Israele). È l’Israele che non odia».

Peres è il vero leader di questo Israele senza odio, che esce dalle elezioni. A novant'anni è ancora la stella polare di questo popolo. Lapid dovrà fare le sue scelte, ma la sapienza pacifica di Peres rappresenta un patrimonio a cui attingere in ogni momento, per non dimenticare mai i palestinesi, il loro dolore e i loro diritti. Il nuovo quadro domanda all’Europa e all’Italia una nuova iniziativa, perché questo Israele senza odio, insieme allo Stato palestinese, possa imbandire la mensa della pace per tutti a Gerusalemme.

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