La sfida di insegnare
A proposito dell’articolo “Un anno di scuola” di Luca Gentile, pubblicato sul n. 11/2011.
Scuola
Essere insegnanti, più che fare l’insegnante, non è mai stato facile, ma adesso è una sfida quasi improba: le agenzie (dis)educative si sono moltiplicate e tutto fa opinione, anzi smercia certezze, impone modelli, offre pseudo informazioni. I ragazzi della scuola dove lavoro confessano candidamente di non potersi “staccare” dal computer, per navigare in Internet o fare i giochi di ruolo.
Che funzione può ancora avere la scuola, ambito istituzionale dell’impegno, dell’impostazione metodologica dei problemi, dell’approccio alle ricchezze di pensiero e di vita espresse dall’umanità del passato, dell’assimilazione degli strumenti atti a svolgere un servizio nella società?
Arrivato a scuola senza risposte convincenti, ero sulla soglia dello sconforto, vinto dalla prospettiva di rimanere un “profeta disarmato”, quando aprendo la posta elettronica, scopro la lettera di un ex alunno, che mi aveva intercettato su Facebook e mi scriveva per la prima volta.
«Buona sera professore, come sta? Devo farle veramente i miei più sinceri complimenti: nonostante l’ora di religione venga bistrattata da tutti, per me è stata molto utile. Forse non si ricorda, io fino al quarto anno non ho mai seguito le sue lezioni, ma proprio in quarto ho iniziato a essere presente qualche volta, finché in quinto ho deciso di seguire totalmente. Io non ero credente prima e non ho iniziato a credere nemmeno dopo le sue lezioni, ma questo, secondo me, non è un motivo per non sentire quello che lei ha da dire; porterò sempre con me le “nostre dispute” durante le sue ore. Ci scambiavamo opinioni, anche abbastanza animatamente (perché entrambi siamo fermamente convinti di quello che pensiamo), ma nonostante ciò a fine ora ci salutavamo con una bella stretta di mano come dei veri amici e non come professore e studente! Mi ha fatto molto piacere averla come professore: oltre ad avermi insegnato cose di cui ignoravo l’esistenza o il significato, non ha mai fatto niente per “obbligarmi” a pensarla come lei, anzi tutto il contrario. Mi dispiace soltanto di aver perso quasi quattro anni delle sue lezioni. Se vuole far presente ai suoi studenti questa mia “confessione”, può farlo tranquillamente, così magari altri non faranno l’errore di aspettare fino al quinto anno per sentire quello che lei ha da dire e per esprimere il loro pensiero in modo del tutto libero, perché ormai è sempre più difficile avere la possibilità di farlo veramente! Buona serata professore, a presto!! Davide».
Non ho tempo per pensarci troppo, sta entrando nell’aula un altro gruppo di studenti: devo riprendere fiato e continuare, come prima, meglio di prima, più di prima.
Pino Palocci