La sfida di don Guanella
Il carisma e l’opera del sacerdote lombardo proclamato santo il 23 ottobre. Una vita dedicata ai più poveri.
«La santità salverà il mondo». Un pannello con questa scritta sotto la foto di don Guanella, dal 23 ottobre santo, incuriosisce i passanti nella trafficata via Aurelia antica di Roma. Non era la bellezza che avrebbe salvato il mondo, come sosteneva il principe Myskin nell’Idiota di Dostoevskij, potrebbe obiettare qualcuno? Entriamo al di là di un grande cancello che lascia solo immaginare la vita che vi si può svolgere all’interno, nel centro di riabilitazione per persone con disabilità intellettiva, dai casi più semplici a quelli più gravi. Davanti a noi si apre una sorta di cittadella: stradine, costruzioni, parchi, una chiesa. Tutto ben curato, ordinato, pulito. Che siamo al don Guanella è chiaro. Qui sembra riecheggiare quanto soleva dire il sacerdote lombardo, oramai agli onori dell’altare: «E non vi pare un segno di predilezione da parte di Dio e cosa immensamente meritoria, accogliere un essere umano proprio quando non lo vuole nessuno?».
A dare un’occhiata in giro si avverte il senso di “predilezione” nella gioia dei responsabili del centro che ci accolgono e non si fatica a credere che tra i vari ospiti ci siano persone che “nessuno vuole”. Ce ne danno conferma don Pino Venerito, direttore delle attività e Simonetta Magari, direttore sanitario di questo che è il centro guanelliano più grande del mondo. Fra i 214 abitanti residenziali ce ne sono infatti diversi che vivono qui da 70 anni, da sempre cioè, recuperati dagli orfanotrofi o dal Santa Maria della Pietà, l’ex manicomio. Un centinaio di loro tiene rapporti familiari buoni, gli altri non li viene a trovare nessuno. Don Pino non nasconde il suo cruccio per non poter accogliere altre persone che hanno bisogno. «Con i tagli alla sanità abbiamo visto ridursi il nostro budget in tre anni del 16 per cento – mi dice –. Noi non abbiamo mandato via nessuno, però la lista d’attesa è sempre più lunga e ci addolora non poter rispondere a queste richieste». Al centro affluiscono anche 61 persone in regime semiresidenziale (cioè dalle 8 alle 17 per poi tornare nelle proprie famiglie), mentre un centinaio di bambini e adolescenti vengono seguiti in regime ambulatoriale, affinché venga garantito l’obbligo scolastico.
Appare evidente che, se non fosse per quella motivazione in più che anima i vari operatori del centro, non si riuscirebbe ad assicurare la qualità del servizio. Perché qui si curano i dettagli. Ad esempio nella struttura stessa delle residenze, studiate in maniera tale da dare il senso di casa e non di istituzione. Da “casa”, infatti, ci si sposta per andare al lavoro, al bar, alla terapia riabilitativa, in chiesa, ai laboratori creativi… «Si cerca di favorire la “normalità” della vita – mi spiega la dott.ssa Magari – ricostruendo qui quella città che fuori non è in grado di accoglierli».
Sosteneva don Guanella che «tutti sono educabili» e che i bisogni di queste persone spesso sono da indovinare più col cuore che con la scienza, quella preparazione professionale che comunque non viene trascurata. Due esempi per tutti. Mario stava sempre coi pugni chiusi. Nessun fisioterapista era riuscito a fargli sbloccare quelle mani fino a quando, sotto gli occhi del personale medico che si stava consultando sul da farsi – perché comunque qui non si demorde facilmente –, una bimbetta di due anni non gli porge delle margherite raccolte sul prato. Mario apre le mani per prenderle e allora diventa chiaro che la causa della chiusura non è la spasticità. Lorenzo, altro caso, ha il viso completamente rovinato: un caso di autolesionismo esasperato risolto grazie alla messa in atto dell’analisi funzionale che lavora non sul limite, ma sulle potenzialità.
Visitando questo centro nel marzo dell’82 Giovanni Paolo II così ebbe a dire: «Ci vuole una carità speciale, una carità eroica per innamorarsi di questi infelici, dei ritardati, degli spastici, molti dei quali vediamo in questa casa. È una cosa facile innamorarsi della bellezza visibile; è una cosa difficile innamorarsi nella mancanza della bellezza… È necessaria una carità particolarmente acuta, penetrante, specialmente grande e unica. Ecco la strada percorsa da don Guanella, ecco la vostra strada». In poche parole è proprio questo il carisma del santo. Sì, in un contesto culturale quale quello odierno nel quale l’attenzione ai “poveri” di vario genere è sempre meno e le risorse scarseggiano, si capisce allora perché «la santità salverà il mondo».