La sfida di costruire la pace in tempo di guerra

Le domande aperte di stringente attualità al centro in un incontro pubblico promosso a Roma il 3 maggio nel terzo Municipio.  Le grandi questioni che interpellano la nostra coscienza davanti al rischio di escalation bellica dal centro dell’Europa al Medio Oriente
Economia Disarmata foto San Pietro Roma Foto AScognamiglio

Anche la persona cosiddetta comune, quella che sembra distratta o semplicemente indifferente al fluire di informazioni al tempo dei social, quella che segue forse qualche tg ma non legge ormai alcun giornale stampato, avverte un senso di spaesamento davanti alle notizie sulle guerre che non sono più così lontane.

Convive da oltre 2 anni, dal 24 febbraio 2022, con le notizie sul fronte ucraino che richiede continue forniture di armi sempre più devastanti da Oriente come da Occidente. Rischia l’assuefazione davanti alle decine di migliaia di vittime palestinesi che continuano ad essere mietute nella Striscia di Gaza come risposta all’eccidio di oltre mille cittadini israeliani, non solo ebrei, perpetrato il 7 ottobre 2023 da Hamas, organizzazione politico militare del fondamentalismo islamista.

Anche se si fa finta di niente e prevale più che la volontà di pace quella di essere lasciati in pace, magari pensando alle ferie estive ormai vicine, non si può sottacere il timore latente di un qualsiasi casus belli in grado di scatenare un’escalation destinata a coinvolgerci da vicino, con i media principali pronti a dare ragioni della necessità di intervenire.

Bisognerebbe intervenire per fermare la strage in corso a Gaza, ma sembra che tale urgenza l’avverta solo il papa oltre ai pochi studenti che contestano la collaborazione delle loro università con le industrie militari che sostengono le forze armate di Tel Aviv.

L’Europa appare ferma, incapace di prendere parola e iniziativa autonoma nello scontro geopolitico tra Usa e Cina. Anzi i vertici Ue spingono per mettere esplicitamente l’economia dell’Unione «in assetto di guerra», nonostante che l’ammontare complessivo delle spese della Difesa del Continente sia superiore a quello della Cina e della Russia.

Il presidente francese Macron ha già avvertito e continua a ripetere che è pronto ad inviare i suoi soldati in caso di possibile vittoria da parte di Putin sul campo di battaglia in Ucraina.

Il premier polacco Donald Tusk si è detto pronto ad ospitare bombe nucleari sul proprio territorio come segnale del pericolo imminente del precipitare degli eventi.

Eppure, come nota il direttore della Rivista italiana di Difesa, Pietro Batacchi, anche nel tempo dei sofisticati droni armati e dei caccia bombardieri invisibili alla contraerea, l’elemento determinante in guerra restano le risorse umane, cioè i soldati.

E noi, seppur dotati di forze armate sempre più specializzate, temprate da un numero consistente di missioni all’estero, siamo in difetto di uomini e donne in divisa pronti a combattere e a darsi il cambio in caso di conflitti prolungati.

La pacifica Svezia è entrata nella Nato vincendo le resistenze della Turchia, seconda potenza militare dell’Alleanza Atlantica, e ha reintrodotto la leva obbligatoria.

Non è stato perciò strano l’accenno fatto da papa Francesco, in una recente udienza dedicata all’incontro tra le generazioni, alle canzoni di protesta nella prima guerra mondiale contro il generale Luigi Cadorna tramandate dal nonno di Bergoglio immigrato piemontese nel Nuovo Mondo, in Argentina.

Una cantilena senza autore definito, generata da una massa di soldati sottoposta ad una rigida disciplina, che prevedeva la fucilazione sul posto in caso di insubordinazione, ma che davano del matto al comandante che portava al macello anche i giovani imberbi del 1899.

Cadorna si professava un cattolico devoto, come il padre Raffaele che, ad ogni modo, diresse la dura repressione dei moti meridionali e poi comandò le truppe sabaude che nel 1870 aprirono a Roma la breccia di Porta Pia ponendo fine al secolare Stato Pontificio.

Una frattura epocale, giudicata col tempo provvidenziale dalla Santa Sede; ma destinata ad incidere nella società italiana che, secondo alcune ricostruzioni, proprio nel fango e nel sangue delle trincee della “grande guerra” riconciliò l’unità del Paese tra cattolici e laici risorgimentali nell’amor patrio.

Cadorna arruolò i cappellani militari ed ebbe il consenso pieno alla necessità del sacrificio in battaglia da parte di Agostino Gemelli, il medico e frate francescano che fece parte del suo quartier generale.

C’è chi a tale retorica rimase tuttavia estraneo e del tutto contrariato: come ad esempio Igino Giordani, futuro padre costituente, autore di riferimento nell’opposizione morale e culturale al fascismo, che sul finire dei suoi giorni pubblicò le sue “Memorie di un cristiano ingenuo” con pagine che esprimono, in tutta la loro freschezza, una ribellione spontanea contro la guerra maturata fin dalla giovane età, quando pur coscritto, scandalizzato dai preti che benedivano le armi, decise di non sparare un colpo restando comunque invalido di guerra per un’operazione rischiosa tra i reticolati della trincea.

Giordani si dichiarò deputato di pace: presentò per la prima volta in Parlamento, nel 1949, un proposta di legge sull’obiezione di coscienza e collaborò strettamente con don Primo Mazzolari, scrivendo un testo, “L’inutilità della guerra”, che ha tratti simili alla pubblicazione “Tu non Uccidere” che Mazzolari nel 1955 fece circolare senza firma perché condannata dalle autorità ecclesiastiche.

Il parroco di Bozzolo, paese della bassa mantovana, scrisse quel testo come risposta alla lettera di alcuni giovani, ex militari e partigiani, che gli chiesero consiglio davanti ad una possibile chiamata alle armi nel clima di guerra fredda pronta ad esplodere anche con l’uso di armi atomiche.

Senza fermarsi a rievocazioni storiche, il caso dell’uso delle armi, non solo il loro invio, si ripropone oggi. Lo afferma con estrema lucidità il docente della Cattolica di Milano, Vittorio Emanuele Parsi, quando sottolinea che, nonostante le nostre migliori intenzioni e aspirazioni, ci troviamo davanti ad uno scenario imposto dagli eventi in cui ci è chiesto «per cosa siamo disposti a morire e a uccidere».

Il paradigma dello “sparare senza odiare”, che ha giustificato l’uso delle armi in battaglia per intere generazioni, torna quindi a farsi strada nel nostro tempo.

E il papa? Il suo appellarsi a porre fine ad ogni strage aprendo le porte al negoziato? Sono solo istanze legate ad un ruolo profetico staccato dalla Storia ma che diventa ambiguo e sostenuto quando viene preso sul serio? «No, non vogliamo la vostra pace Santità!», tuonavano così, nel 1917, i predicatori di corte in tutta Europa al tempo dell’appello di Benedetto XV a porre fine all’inutile strage. Stiamo ripetendo la stessa china oggi come i sonnambuli di quella generazione che preparò le basi per il secondo conflitto mondiale sfociato nel fungo atomico?

Ma che fare, soprattutto, adesso davanti all’ipotesi innominabile, ma anch’essa sdoganata, del disastro nucleare innescato dalla disperazione di uno dei detentori dell’arma nefasta?

Sono domande aperte che saranno affrontate nell’incontro del 3 maggio 2024 nell’aula consiliare del terzo Municipio di Roma, a piazza Sempione, uno snodo della via Nomentana che parte da Porta Pia, attraversando una serie di palazzi eleganti, ville storiche e sedi diplomatiche, per arrivare a Monte Sacro, il luogo del giuramento dei Plebei contro i Patrizi e, nell’età moderna, della consacrazione di Simon Bolivar alla costruzione della Patria grande in tutta l’America Latina.

Ecco come si presenta l’incontro promosso dall’Associazione Nuove vie per un mondo unito Aps in collaborazione con Città Nuova

Costruire la pace in tempo di guerra

Viviamo in un tempo difficile in cui si giunge a travisare e a non comprendere i continui appelli di papa Francesco a porre fine alle stragi in corso nel centro dell’Europa in Terra Santa e in tanti conflitti dimenticati».

Anche lo scenario del conflitto nucleare, ben presente dal 1945 sui tavoli di strategia militare, è ricomparso apertamente nel dibattito pubblico dominato dalla cultura prevalente del tragico motto “Se vuoi la pace prepara la guerra”.

Il reale rischio di escalation si accompagna ad una chiamata alle armi sempre più incalzante che giustifica il riarmo mondiale dove il nostro Paese si colloca tra i primi esportatori su scala planetaria.

In tale contesto si rivelano sempre più lucide le parole di Igino Giordani, tra i padri costituenti della Repubblica e cofondatore del Movimento dei Focolari, «Non basta il riarmo e neppure il disarmo per rimuovere il pericolo della guerra: occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egemonia, dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza».

L’incontro del 3 maggio è promosso per dare spazio alla costruzione della pace in un mondo in guerra, all’urgenza di ridare centralità alla coscienza nelle contraddizioni laceranti di questi giorni.

Interverranno, coordinati da Paola Cavalieri, Presidente Commissione Politiche Sociali, Sanitarie e Abitative del III Municipio di Roma:

Roberto Catalano, esperto del continente e della cultura asiatica, impegnato per decenni nel dialogo interreligioso come via della pace. Autore, tra gli altri, del recente libro edito da Città Nuova “Fra identità e pluralismo (diario di un cristiano in dialogo con le religioni dell’India)”.

Nicoletta Dentico, giornalista esperta di salute mondiale, portavoce della campagna che ha portato al bando delle mine antiuomo. Redattrice di Mosaico di Pace, mensile del movimento Pax Christi

Carlo Cefaloni, redattore di Città Nuova, premio giornalistico 2023 Archivio Disarmo Colombe d’oro per la pace, coordinatore del gruppo di lavoro Economia disarmata promosso dal Movimento dei Focolari Italia

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