La sfida dei pronomi personali

 

I pronomi personali: io, tu, egli/ella, noi, voi, loro. È una delle prime cose che s’imparano a scuola e che restano fisse per sempre nella mente. Fotografano la “grammatica” della vita, intessuta tutta di rapporti tra l’io e gli altri.
Peccato che il più delle volte si rischi di rimanere quasi soltanto sul piano delle nozioni astratte: senza che venga svelato ed esercitato, almeno un po’, l’arcano custodito da questa grammatica dell’esistenza che s’esprime nel linguaggio e dal linguaggio è promossa.
Perché dire all’altro “tu”, parlare di “lui” o di “lei”, definirsi un “noi”, tener conto di un “voi”, riferirsi a un “loro”, struttura e plasma la nostra esistenza, ne definisce i contorni e i colori, ne rivela l’orientamento, gli obiettivi, il destino. Oggi poi, in questo post-pandemia che comunque ci vede altri da quanto sinora siamo stati e come tali c’interpella, tutto ciò acquista un’eloquenza e un’urgenza nuove.
La filosofia dialogica e personalista del ’900, in realtà, ha riacceso i riflettori su questa grammatica primordiale e al tempo stesso decisiva dell’esistenza. E ci ha invitato, anche dal punto di vista pedagogico ed educativo, oltre che spirituale e sociale, a fare i conti con essa.
Perché il fatto è questo: quando si focalizza l’attenzione anche poco poco su queste paroline così all’apparenza minimali e scontate, ma senza le quali non vi sarebbe il linguaggio né vi sarebbe la tessitura dei rapporti ch’esso esprime, ci si accorge che si scoperchia un abisso: quello nientemeno dell’identità e della vocazione della persona non nella sua solitudine, ma nel concerto delle sue relazioni.
Tanto che verrebbe da dire che l’arte dell’educare ha precisamente a che fare, in principio e prima di tutto, con la scoperta del significato di questi pronomi e dei rapporti che li intrecciano nell’e-ducere, e cioè nel tirar-fuori e portare allo scoperto dell’esistenza – come fa con pazienza, con prudenza, con sapienza, con delicatezza la levatrice con la partoriente – l’uomo e la donna nuovi che l’educazione, ai suoi vari livelli e nelle sue varie forme, ha di mira.
Sì, l’educazione ha a che fare con la scoperta vitale delle identità che sono designate dai pronomi personali e dei rapporti tra di loro che ne promuovono l’autentico volto e il significato profondo.
Intanto, una prima notazione. Si parla di “io”, di “tu”, di “noi”, ma ogni volta dovremmo premettere un aggettivo: “altro” – nel senso che l’altro sono io, l’altro sei tu, l’altro siamo noi. Il motivo è evidente: ciascuno è altro di un… altro – io di te, tu di me, ma anche noi di voi, voi di noi. E già questo ci deve far riflettere: la cosa decisiva, nell’esistenza umana, è educarsi a scoprire e a gestire l’identità nel rapporto con l’alterità.
S’individua così da subito il baricentro dell’azione e del processo educativi. Perché, certo, nell’arte d’educare si tratta di partorire l’“io”: ma l’“io” non c’è senza l’altro! Questo è il punto: tanto semplice e basilare che lo si può dimenticare o relegare semplicemente sullo sfondo o addirittura, di fatto, rovinosamente negare.
L’“io”, invece, non solo prende coscienza d’essere un’“io” solo quando l’altro “io” lo guarda come un “tu” – a cominciare dal rapporto del bimbo con la mamma, su su sino al rapporto d’amore sponsale –, ma lo fa di tanto in quanto impara a guardare egli stesso l’altro da sé come un “tu”… che è anch’egli un “io”! E a trattarlo di conseguenza.
Anzi, l’“io” cresce – lungo tutto l’arco della sua esistenza – solo se si esercita in quest’arte liberante e trasfigurante, ma al tempo stesso impegnativa e crocifiggente, d’imparare a essere un vero e insostituibile “io” di fronte al “tu”, a ogni altro “tu”, come di fronte a un altrettanto vero e insostituibile altro “io”.
Per cui non è per nulla azzardato dire – dal punto di vista non solo psicologico e sociologico ma olisticamente antropologico – che la riuscita della personalizzazione di ogni “io” si gioca in gran parte nella capacità e nella fantasia spese con generosità e perseveranza nel vivere il rapporto che lo costituisce con l’alterità. Del “tu” e del “noi”.
Ma su questo ritorneremo per approfondire il discorso sin qui appena iniziato.

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