La segreta saggezza del tempo
Il tempo inteso come essenza e pienezza dell’esistenza è un aspetto su cui la società tende a riflettere poco. La vita sembra rivelarsi più un’occupazione di spazio che non una espressione della qualità del tempo. La cifra dell’umanità, almeno di quella occidentale, è diventata la velocità, un accumulo di eventi e situazioni che affollano il giorno e spesso si dilatano anche nella notte. La quantità è il vero demone della società non la qualità e, dunque, il senso di quello che accade o che costruiamo. Quantità di cose, di occupazioni, di fatti, di informazioni che, in linea teorica, dovrebbero arricchire la vita, ma che in realtà non lasciano tracce né epidermiche né nel profondo. Con quali esiti, con quali rischi? Sono domande che è necessario porsi e a cui rispondere.
«Il grado di lentezza – scrive Milan Kundera nel romanzo La Lentezza – è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio». Forse l’uomo occidentale contemporaneo è alla ricerca dell’oblio, del non valore della vita? «Chiaramente più l’uomo vive da ‘smemorato’, escludendosi dalla linfa vitale che gli giunge dalle sue radici, e più procederà a tentoni verso un futuro amorfo e insidioso», osserva padre Donato Ogliari, abate dell’abbazia di san Paolo fuori le Mura. «La ‘rapidazione’ impressa al ritmo di vita delle nostre società occidentali ha finito col condurre l’uomo contemporaneo a vivere in maniera frammentata e atomizzata priva di un filo conduttore. E poiché in tale contesto di velocizzazione quel che più conta è sfruttare al massimo l’attimo presente come fine a sé stesso, diventa ancor più arduo vivere il tempo come un alleato al quale consegnare una progettualità e nel quale trovare un senso unificatore al proprio vivere».
In questo scenario preoccupante ogni dimensione dell’esistenza è coinvolta. Lo spazio «rischia – dice ancora Ogliari – di essere trasformato in un semplice involucro nel quale le azioni quotidiane si susseguono pressoché identiche e abituali, senza un fine ultimo che le informi e le colleghi tra di loro». C’è, insomma, una perdita lenta, inesorabile di aspetti fondamentali della vita e di domande di senso, manca una trama di esperienze e di contributi capaci di corroborare un progetto che apra il futuro alla speranza. Nell’impossibilità di soste adeguate per la riflessione sembra smarrirsi la saggezza del tempo. «Viene da chiedersi – dice Enzo Bianchi, ex priore di Bose – se non abbiamo smarrito anche la segreta sapienza di una quotidianità più rappacificata con la natura e con gli altri e l’ascolto di suoni destinati a tutti».
Il privato si tiene con il pubblico, nella relazione con la società, intesa in maniera vasta e articolata, tanto negli aspetti sociologici quanto in quelli naturalistici, e con l’altro che è diversità e arricchimento. «Il valore, il senso della vita, che trascende la vita stessa – scrive Claudio Magris nella prefazione ad un libro di Mauro Corona –, nascono dal dialogo amoroso che unisce le singole esistenze separate e supera la loro separazione». «Il ritmo della vita moderna non lascia tregua a volte, e ci dimentichiamo di guardarci, ascoltarci, volerci bene», annota Margaret Karram, presidente dei Focolari, intervistata da Città Nuova. «Dove il tempo e lo spazio vengono considerati unicamente come barriere da abbattere e l’accelerazione non ha altra finalità che sé stessa, prendono corpo modi di essere fondati sull’insoddisfazione e il risentimento», completa il ragionamento l’abate Ogliari, riportando il pensiero di Gabriella Paolucci.
In queste condizioni il male sociale avanza e dilaga lentamente nelle coscienze e si approfondisce in maniera carsica. Occorre invertire la rotta, ma così semplice non è, dal momento che la vita di ciascuno è parte integrante di quei meccanismi di ‘rapidazione’. Come se ne esce? Questa è la domanda fondamentale. Se prevale un clima culturale fondato sull’esercizio dell’avere, sull’individualismo e sul nichilismo sicuramente sarà difficile. «Noi siamo in relazione ininterrotta con gli altri, e dovremmo riflettere senza fine sul problema delle correlazioni fra identità e alterità», chiarisce lo psichiatra Eugenio Borgna.
La chiave di volta è, dunque, riflettere sulla correzione fra identità e alterità? Difficile dirlo, ma è comunque un primo passo, il presupposto per dare al tempo una dimensione che sia a misura d’uomo. «Rallentare e fermarsi serve a darci un cuore senza confini, che possa amare di più, e costruire relazioni personali con ogni persona», conferma Margaret Karram. Insomma nella lentezza c’è un di più che può permettere di costruire un orizzonte di speranza. E la speranza, scrive Peguy, «non è altro che quella piccola promessa di gemma che s’annuncia proprio all’inizio d’aprile». Essa è un segno d’Infinito che già vive nel presente. Basta saperlo cogliere.
__