La sedia vuota
Una sedia parlante, ma è difficile capire quello che vuole dire. Che nota vuole suonare nel bel mezzo del concerto. Non è una sedia qualunque, ma una “cattedra”, sulla quale doveva sedere un maestro, il quale, invece, ha preferito far parlare lei.
Il problema, però, è l’interpretazione del messaggio. Ufficialmente è stato detto che papa Francesco ha rinunciato al concerto di musica classica nell’Aula Paolo VI programmato in occasione dell’Anno della fede per “un’incombenza urgente e improrogabile”. Nonostante un programma ed esecutori di alto livello: la Nona Sinfonia di Beethoven interpretata dall’Orchestra sinfonica nazionale della Rai e dal coro dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, diretti dal maestro slovacco Juraj Valcuha. Un evento ufficiale, con invitati ecclesiastici e laici illustri.
Le interpretazioni sono svariate, ma la linea prevalente è quella che si rifà allo stile che papa Francesco ha tenuto fin dalla sua nomina e al quale è stato rigorosamente fedele, sia negli atteggiamenti che nelle parole: dare la priorità ai gesti semplici, spontanei, agli incontri con il popolo, con il suo rifiuto del formalismo, degli onori, della ricchezza. È ciò che lo ha reso estremamente popolare, non solo nelle file dei cattolici praticanti, ma anche fra i laici e sui media, che gli riservano spazi prima mai concessi al pontefice romano.
Ma al di sotto di questo va colto un messaggio più profondo, che si riferisce a una concezione della Chiesa, direi radicalmente fedele al vangelo e al Concilio Vaticano II, povera perché fiduciosa solo nel suo Signore, liberata da tutto ciò che nel corso della storia si è indebitamente accumulato sul suo stile di vita – deformandolo – al suo interno e verso il mondo, comunità vera dove si pratica la partecipazione e la corresponsabilità.
In base a questi criteri il papa avrebbe rinunciato al concerto: è quello che la sedia vuota sembra suggerire.
A me resta, sinceramente, un rammarico. Come sono rimasti gli orchestrali, i coristi, il direttore? Senz’altro avranno preparato con passione e competenza il concerto, soprattutto pensando a lui, Francesco, che dice di amare la musica classica e in particolare Beethoven. E lui non è comparso. Tanto più che, appena cinque giorni prima, aveva detto che «il Vangelo è per tutti, anche per i dotti […] Dobbiamo andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura […] Andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti, o una sorta di barboni spirituali».
Non so perché Francesco non è andato al concerto. Ma forse la sedia sarebbe stata contenta di accoglierlo, almeno per un momento.