La seconda vita di “Ca’ Moro”, da peschereccio a social bateau

A Livorno un vecchio peschereccio è diventato la sede di un ristorante che offre opportunità di lavoro a persone diversamente abili. Ora, a fronte delle necessità di restauro, è partita la campagna di crowdfunding

C’era una volta e c’è ancora, un peschereccio bianco e turchese che, con il suo scafo in legno, aveva solcato orgoglioso le acque del mar Adriatico. I suoi padroni lo avevano chiamato “Ca’ Moro”, giocando con quell’usanza della toponomastica veneziana che adopera l’abbreviazione “Ca’” per indicare la casa, specialmente dei casati nobiliari.

Ca’ Moro, nella sua lunga vita, era stato davvero un peschereccio nobile, che aveva pescato impavido pesci d’ogni genere: tonni, tonni rossi, aguglie imperiali, alalunghe, pesci spada e anche sgombri. Il peschereccio era molto felice della sua vita, fatta di spruzzi, vento e lotte appassionate tra esseri umani e pesci!

Ma un giorno di qualche anno fa, Ca’ Moro cominciò a sentirsi stanco. Il suo scafo scricchiolava e faceva fatica a sopportare il vigore del mare e quelle che un tempo coglieva come carezze di cavalloni amici, ora gli sembravano schiaffi che si frangevano dolorosamente sul suo legno antico.

Fu così che si decise ad andare in pensione. Il suo timore era che avrebbe finito i suoi giorni in qualche cantiere di demolizione, con il suo bello scafo e la tuga smembrati. Invece, fu solo l’inizio di un nuovo viaggio. L’avventura continuava! Attraversò il mar Adriatico, poi lo Jonio, fino a raggiungere il Tirreno. La lunga traversata terminò nella Darsena Vecchia del glorioso porto di Livorno, in Toscana, a due passi dalla Fortezza Vecchia e dal Monumento ai Quattro Mori. E fu lì che lo trasformarono in un ristorante, anzi, in un social bateau.

Cosa significasse quel nome lo capì a poco a poco. Non era più soltanto un peschereccio ma nemmeno esclusivamente un ristorante. Ca’ Moro, tornò ad essere il luogo di una sfida. Perché vedete, era stato donato nientemeno che ad una cooperativa sociale, il “Parco del Mulino”, che in collaborazione con l’Associazione Italiana Persone Down di Livorno e la Cooperativa Itinera, ne aveva fatto un ristorante dove lavoravano a turno, nella veste di camerieri e barman, sei ragazzi down: Paolo, Valentina, Federico, David, Edoardo e Michele.

Ora, se il suo legno antico potesse parlare, forse narrerebbe l’orgoglio per questa nuova avventura che accoglieva a bordo: qui, la sua storia personale si sposava non solo con la cucina tradizionale livornese ma anche con un progetto che puntava, attraverso il lavoro, a dare a questi ragazzi l’opportunità di una vita migliore e di completa integrazione nella società.

Ogni sera, il Ca’ Moro, con i suoi cinquanta coperti, sfornava fritti misti, il tradizionale caciucco alla livornese, innumerevoli piatti che rielaboravano il pescato del giorno e anche l’opportunità per i suoi ospiti di partecipare e vivere un’esperienza sociale.

Ca’ Moro era molto felice della sua nuova vita, ma dopo tre anni, stando a mollo tutto il tempo, il suo fasciame in legno aveva ricominciato a scricchiolare e a indebolirsi, a perdere il suo smalto turchese e bianco, e i danni al tetto erano diventati tali da non permettere ai suoi ragazzi di lavorare nelle giornate di pioggia.

Fu così che all’equipaggio del Parco del Mulino venne un’idea: lanciare una campagna di crowdfunding per restaurare il peschereccio, rimodernare la cucina e offrire ai suoi ragazzi la presenza stabile di un educatore che potesse accompagnarli nel loro processo di più completa integrazione.

Ecco il suo presente e il suo futuro! Giunto a questo punto, il social bateau Ca’ Moro era pieno di speranza, perché aveva imparato ad avere fiducia nella generosità degli esseri umani, e perché aveva imparato sulla sua pelle, ehm, sul suo legno, che spesso, quella che sembra la fine, è solo l’inizio di una storia nuova.

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