La scuola in tempi di Coronavirus
Dopo un primo momento di comprensibile spaesamento, anche la scuola si è progressivamente organizzata sul piano della didattica a distanza, attestandosi su una sorta di sempre più ordinata “linea del Piave”.
Anche la scuola, come tutti gli altri comparti in Italia, è chiamata infatti ad affrontare un’emergenza senza le spalle coperte da protocolli operativi validati dall’esperienza o dall’evidenza scientifica. Per cui, si naviga a vista e ci si muove per progressivi aggiustamenti di tiro, una volta interpretato il feedback generato dal proprio comportamento precedente. Strategie agite “per tentativi ed errori”, su cui si scommette quando ci si trova davanti a problemi “aperti” e quindi non governabili da procedure lineari e definite.
Ma, a cosa ci si affida, quindi? Certamente alle buone pratiche utilizzate lì dove si è voluto affrontare già da tempo una sperimentazione didattica supportata dalle TIC (Technology, Information, Communication). Competenze, però, distribuite a macchia di leopardo sul nostro territorio.
Inoltre, le scuole sono autonome e sul piano didattico la norma è chiara: l’ultima parola spetta sempre al Collegio dei docenti (l’art. 7 del T.U., D.P.R. n. 297/94). Insomma, non c’è un ente di ordine superiore, una sorta di “catena di comando” nazionale, che decida il da farsi sul piano didattico: su questi aspetti, le decisioni non spettano al Governo o allo stesso Ministero e neanche al singolo dirigente scolastico. Da qui le diffide minacciate in questi giorni dai sindacati nei confronti di Dirigenti che pretendano di imporre ai docenti della propria scuola una certa procedura per la didattica a distanza.
Il problema è che le scuole non erano preparate ad una sospensione a tappeto delle attività didattiche e, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto il tempo di convocare Collegi dei docenti nei quali discutere come affrontare l’allora “eventuale” (e già allora altamente probabile) situazione di sospensione. Tutto viene quindi lasciato, di fatto, ai singoli consigli di classe e, all’interno di questi, ai singoli docenti.
In assenza di una classica linea top-down nella presa di decisioni per la gestione della didattica a distanza, tali decisioni vengono prese così sulla base di sperimentazioni in loco e per approssimazioni successive. Le quali stanno generando tuttavia, ed in tempi record, nuove competenze fra i docenti ed un nuovo sapere condiviso, rigorosamente bottom-up, cioè ottenuto “dal basso”, attraverso un faticoso accumulo di conoscenze e abilità e di regole di condotta generate “induttivamente”.
Un sapere particolarmente efficace perché acquisito sul campo e sulla base di un convincimento personale dei docenti: su come muoversi in base a diverse variabili (tipologia di materie, di compiti da assegnare, di classi destinatarie, di modalità di comunicazione e restituzione di feedback da parte degli studenti, di piattaforme digitali, “sincrone” o “asincrone”, da utilizzare). In un flusso reticolare, esponenziale ed ininterrotto di comunicazioni (fra docenti, fra genitori e docenti, fra studenti, ecc.), reso possibile dai social network.
Col passare dei giorni, la didattica on-line si va in tal modo affinando e arricchendo di strumenti, diventando più attenta anche al carico di lavoro che essa determina sulle famiglie. Dove i genitori, se a casa, devono supportare figli che, in barba al mantra dei “nativi digitali”, in tantissimi casi (soprattutto nella scuola del primo ciclo), se sono certo bravissimi con gli smartphone, si muovono assolutamente spaesati nel lavoro al computer.
Insomma, il virus ha avuto, almeno da questo punto di vista, un certo effetto positivo: costringere docenti, studenti e genitori a rompere il muro del blocco psicologico e culturale di fronte alle nuove tecnologie della formazione. Queste, va ricordato, non costituiscono un fattore determinante per la qualità della didattica, come dimostrano tutti gli studi scientifici fatti da anni sul tema, ma sono comunque un valido supporto e, in questi giorni, l’unica chance per la nostra scuola di non perdere il contatto, anche umano, con i propri studenti.
Ma l’aspetto più importante rimane, anche e forse soprattutto in questi giorni, la relazione educativa. Il che significa che uno sforzo importante dei docenti dovrà essere quello di utilizzare queste nuove tecnologie per mantenere al meglio un autentico contatto umano con i propri studenti (e coi loro genitori), attraverso una comunicazione fatta certamente di correzioni, suggerimenti e indicazioni didattiche, ma anche di saluti, auguri, incoraggiamenti, perfino battute di spirito.
Tutto può aiutare a limitare la possibilità di un progressivo scivolamento, in bambini e ragazzi, da una inevitabile sensazione di isolamento fisico ad un ben più rischioso sentimento di solitudine. Ce n’è sicuramente un estremo bisogno.