La scuola: presidio di legalità
L'esperienza della rete di istituti nel quartiere Zen di Palermo dimostra che il cambiamento è possibile.
I più – motori di ricerca internet compresi –, quando sentono la parola “Zen” pensano ad una filosofia orientale. Ma lo Zen è anche un quartiere di Palermo, dove varie forme di disagio sociale – dalle precarie condizioni abitative alla scarsità di servizi – creano terreno fertile per il radicarsi dell’illegalità. Nel caso dei ragazzi, questa è strettamente legata alla dispersione scolastica: facile intuire che chi abbandona i banchi di scuola già prima della licenza media è più esposto al rischio di cadere in questa spirale per assenza di alternative.
Sono quindi proprio le scuole ad essere in prima linea per la promozione della legalità, in particolare con l’Osservatorio di area “Distretto 13” per la prevenzione e il recupero della dispersione scolastica. «Lavoriamo in rete con le scuole del territorio – spiega Carla Mazzola, psicopedagogista impegnata allo Zen da 15 anni – ,sia per la formazione dei genitori, sia per fornire alternative ai ragazzi in un quartiere in cui purtroppo l’illegalità per molti è la norma».
La legalità si respira prima di tutto in famiglia: per questo vengono organizzati corsi mirati a sostenere i genitori nell’educazione dei figli. L’iniziativa si è poi tradotta in un gruppo di tredici “mamme-tutor” che prestano volontariamente servizio a scuola e fuori: «Accolgono i ragazzi all’entrata a scuola e li accompagnano all’uscita – spiega la Mazzola – in quanto figure diverse da quella del bidello o dell’insegnante. Inoltre vanno a trovare le famiglie dei ragazzi che non vengono a scuola».
Proprio l’abbandono è il nodo della questione: «Attuiamo un monitoraggio costante delle presenze in classe – riferisce la psicopedagogista – così da poter andare a cercare chi ha abbandonato anche con progetti ad personam: grazie alla collaborazione con la Fondazione per il Sud e altre organizzazioni del territorio, possiamo avere degli operatori che seguono singolarmente questi ragazzi per tutto l’anno». La sensibilizzazione all’importanza della frequenza parte sin dalla più tenera età: «Già alla scuola dell’infanzia, che non è obbligatoria – prosegue – iniziamo questo percorso, perché alcuni bambini arrivano in prima elementare senza essere mai entrati in un’aula».
Nel caso di famiglie disagiate questo costituisce un problema: per quanto sorprendente possa sembrare, ci sono ragazzini di 6 o 7 anni che rappresentano casi da segnalare ai servizi sociali, alle comunità, o – nel peggiore dei casi – alla procura, perché già avviati sulla strada della microcriminalità. Significativo quindi che, all’interno della settimana della legalità promossa dal 17 al 23 maggio, sia stato inserito il premio “La legalità sui banchi di scuola”, riconosciuto a quegli alunni della scuola primaria che si sono distinti per aver vissuto i valori della legalità e della solidarietà: «Ad esempio è stata premiata una bambina che, pur vivendo in macchina da due mesi in seguito allo sgombero di alcune case del quartiere, si è sempre impegnata a scuola con serenità».
Riportare i ragazzi in classe, però, non basta: «Sono necessarie innovazioni nel metodo didattico per accogliere chi ritorna dopo tanto tempo. Utilizziamo lavagne interattive, laboratori, e altre attività anche nel pomeriggio: la scuola è sempre aperta». Un sostegno non da poco per le famiglie nell’evitare che i ragazzi rimangano in strada. Sempre in quest’ottica si inserisce il recupero degli anni scolastici persi: «Ci sono ragazzi che a 15 o 16 anni – aggiunge la Mazzola – non hanno ancora la licenza media, e difficilmente tornano in classe a quell’età: vorremmo dar loro la possibilità di avviarsi alla formazione professionale».
La questione del lavoro, infatti, è centrale per la promozione della legalità: «La vedova di Libero Grassi, imprenditore ucciso perché non pagava il pizzo, in un dibattito da noi organizzato ha delineato molto bene la differenza tra il “posto” e il “lavoro”: purtroppo spesso si pensa solo alla poltrona, mentre il concetto di lavoro implica anche quello di impegno e dignità, parole che mafia ci ha rubato o ha distorto».
Impossibile infatti scindere quello che succede all’interno delle mura scolastiche dalla realtà di un quartiere tutt’altro che facile: «Molte famiglie – spiega la Mazzola – vivono nelle “insule”, casermoni chiusi dove non entra nemmeno la polizia, e sono allacciate alla rete elettrica o idrica abusivamente. Come parlare di legalità a bambini che vivono in una casa abusiva, sapendo che per loro non esistono altre soluzioni?».
Anche le strutture mancano: «La palestra di una delle nostre scuole è fuori uso da 15 anni. Per ora abbiamo allestito un campetto in collaborazione con le parrocchie, ma non basta». L’obiettivo più vasto, quindi, è riportare i servizi all’interno dello Zen: per questo è stato lanciato il progetto “g.zen.net”, che mette in rete i vari enti deputati a fornirli.
Le premesse sono buone: «Abbiamo già ottenuto l’approvazione sia per alcuni interventi strutturali, come il recupero della palestra – spiega la Mazzola – che per l’attivazione di servizi alle famiglie». E la risposta degli abitanti non manca: «La folta presenza di mamme e alunni alle iniziative delle scuole in rete, le uniche istituzioni pubbliche presenti nel quartiere, testimonia che il cambiamento è possibile».
Nella foto: una delle manifestazioni all’interno della settimana della legalità al Campo Diamante.