La scuola italiana sotto esame
Tornano anche quest'anno le prove Invalsi, con le perplessità che le accompagnano. Il perché dell'opportunità di un dialogo che esca dalle mura degli istituti
Riecco le prove Invalsi. Da tempo ormai la scuola italiana s’interroga sul valore di questo sistema nazionale di valutazione. Da quest’anno si sono aggiunte anche le prove per le seconde classi della scuola secondaria di secondo grado.
In una circolare dell’aprile scorso il Miur chiariva, forse un po’ troppo in ritardo, la finalità delle prove : «fornire alle scuole uno strumento di autovalutazione per potersi rapportare ai livelli nazionali e per giudicare oggettivamente il proprio lavoro interno alla stessa scuola».
È veramente soltanto questo il motivo o è, come da più parti viene sollevato, un modo per classificare scuole, docenti e studenti, con il rischio di introdurre meritocrazia anche dal punto di vista economico? Inoltre i professori lamentano la mancanza di copertura finanziaria per le ore di lavoro straordinario che prevede l’organizzazione e somministrazione delle prove, nonché la correzione delle stesse. Ricordiamo che l’Invalsi costa comunque 8 milioni di euro allo Stato, ma di questi nessuno arriva alle scuole, in quanto il ministero, nella stessa nota di cui sopra, risponde che «la retribuzione dei docenti per le operazioni richieste dalla somministrazione potrà essere individuata a livello di contrattazione integrativa di istituto». In pratica, per i non addetti ai lavori, ogni scuola avrebbe dovuto destinare dei soldi dal Fis (fondo integrativo d’istituto) già nella contrattazione di ottobre, togliendo ulteriori risorse dallo stesso fondo che è necessario per il regolare svolgimento delle attività scolastica.
Detto questo, senz’altro il ministero dell’Istruzione poteva adeguatamente, con una campagna di informazione e sensibilizzazione, coinvolgere la scuola italiana tutta in un progetto di valutazione e di monitoraggio di ampio respiro. Ridurre la prova a semplici quiz di sole due discipline ci sembra invece molto riduttivo. Inoltre utilizzare test uguali per tutte le classi, se per la scuola primaria e secondaria di primo grado può essere accettabile, per la scuola di secondo grado non si comprende come le stesse prove possano andar bene per tutti gli indirizzi di studio, dagli istituti professionali ai licei.
Da anni molti docenti fanno proposte di miglioramento del sistema di valutazione, che dovrebbe tener conto di moltissime variabili, quale ad esempio il contesto territoriale, sociale e culturale delle scuole. Una scuola che si trova in periferia, con problemi di dispersione scolastica e forte disagio sociale, non è paragonabile certamente ad una scuola della stessa città con un’utenza diversa.
Sorge da qui la polemica di questi giorni. Boicottare le prove Invalsi non siamo sicuri possa portare ad un ripensamento da parte del Miur, anzi, forse, aiuterebbe a rinforzare l’idea che si sta facendo strada nell’opinione pubblica di insegnanti poco motivati e che non vogliono essere valutati. Riteniamo altresì che il tema della valutazione riguardi tutta la società di cui la scuola è parte integrante e segnale importante della sua identità. Per questo è necessario intraprendere la strada del dialogo a tutto campo, tra scuole, dirigenti, docenti, famiglie, alunni, ministero e sindacati, in un percorso che senz’altro richiederà maggior tempo, ma che sicuramente potrà dare risultati più condivisi. È quello che ci auspichiamo e per il quale vogliamo lavorare tutti.