La scoperta dell’acqua calda
Quelle esistenti nel territorio di Lamezia Terme, note come Terme di Caronte dal nome della sorgente calda principale, classificata come sulfurea-solfato-alcalino-ferrosa-iodica-arsenicale, probabilmente non hanno niente a che fare col nocchiero infernale che traghettò Dante. Caronte, infatti, sembra piuttosto una deformazione popolare di “quaranta”, quanti erano i santi martiri di Sebastia in Cappadocia, ai quali era stata intitolata l’antica chiesetta basiliana i cui ruderi sono ancora oggi visibili all’interno del moderno stabilimento termale.
Conosciute fin dall’antichità per i loro benefici effetti, le acque minerali pullulanti nell’alveo del torrente Bagni tra le boscose colline di Sant’Elia e Muzzari, alle pendici del gruppo montano del Reventino, andrebbero identificate con le Acque Ange della celebre Tavola Peutingeriana, copia di un itinerario dipinto del tardo Impero romano, che le indica come stazione di posta della via che attraversa la piana lametina, l’Annia-Popilia.
Dopo aver curato in duemila anni bruzi, greci, romani e normanni ed essere sopravvissute a devastanti terremoti, ricoperte da frane ma successivamente riscoperte, queste polle salutari – nove per la precisione – tornano in auge in epoca moderna durante il regno delle Due Sicilie. Il loro sfruttamento a livello industriale inizia però soltanto ai primi del Settecento, quando il terreno dove esse sgorgano, di proprietà dei monaci basiliani del Sant’Elia, viene concesso per enfiteusi ai Cataldi di Sambiase, oggi quartiere di Lamezia. Tuttora ne sono proprietari e gestori i discendenti di questa illustre famiglia che, nell’arco di tre secoli, non ha mai cessato di apportare migliorie al complesso.
Incastonato in una cornice naturalistica di serena bellezza, con attorno un parco di palme, eucalipti, platani, oleandri e pini di Aleppo, l’attuale è uno stabilimento d’avanguardia per bagni, fanghi, inalazioni e cure estetiche. Malgrado il sito sia penalizzato dall’assenza di adeguate strutture ricettive e raggiungibile solo con una linea di bus, le eccezionali virtù terapeutiche dell’acqua Caronte attirano qui da aprile a novembre un flusso di 10 mila bagnanti, per la maggior parte calabresi dei dintorni.
Oggi le Terme lametine sfoggiano anche una sala attrezzata per convegni e iniziative culturali, e mentre si attendono i finanziamenti della Regione per iniziare o completare alcuni progetti, come il restauro della chiesetta dei Santi Quaranta Martiri e la trasformazione delle vecchie terme in museo aziendale, presso la reception si può visitare un’interessante ’”anteprima” di questa che costituirebbe la prima struttura del settore in Italia: documenti, foto d’epoca, pannelli illustranti la storia degli insediamenti bizantini in Calabria, specificatamente nel territorio lametino, e alcuni reperti rinvenuti negli scavi del luogo di culto basiliano presente nel complesso.
Tra questi spicca una primitiva ma espressiva Madonna col Bambino, scolpita nel XV secolo – sembra – dagli stessi monaci della badia in un blocco di gessarenite, la cui superficie consunta reca solchi da dilavamento. Venne infatti recuperata da alcuni contadini nel torrente Bagni, dove probabilmente era stata trascinata dalla formidabile alluvione del 1781 che travolse le costruzioni di Caronte. Riscoperta da una successiva piena, fu riportata nella ricostruita chiesetta dei Santi Quaranta Martiri, da dove appunto proviene.
Detto questo, manca ancora un particolare per dare un’idea della contrada. Annunciato dall’odore tipico delle esalazioni solforose, presso un parcheggio a pochi metri dallo stabilimento termale, là dove il Bagni fa udire lo scroscio delle sue cascatelle, esiste un bacino a cielo aperto che qualche intraprendente abitante del posto ha dotato di un rudimentale servizio bagnanti: uno spogliatoio, panchine, ombrelloni, perfino una tenda-cuccia per cani. Le informazioni sono date da cartelli in inglese e tedesco, segno che il luogo è noto e frequentato anche da stranieri. E infatti tra gli “utenti” di questo mini-stabilimento termale senza pretese è frequente scorgere fisionomie e capigliature non calabresi.
Il luogo agreste è come doveva essere secoli, se non millenni fa, quando le sorgenti termominerali, libere e non ancora captate da qualche struttura, si mescolavano alle acque del torrente. Qui è possibile sguazzare, rilassarsi, asciugarsi al sole (ma c’è chi fa bagni anche notturni, grazie alla temperatura fra i 35 e 39 gradi circa), allietati dal fruscio dei canneti mossi dal vento e dal cinguettio degli uccelli. È vero che queste acque non vengono analizzate quattro volte l’anno come quelle del vicino stabilimento, ma vuoi mettere?
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