La scomparsa di Ringo

Giuliano Gemma se n’è andato a 75 anni per un incidente stradale. Sull’onda degli spaghetti-western diventa, per Sergio Leone, il vendicatore buono. Volto immobile, recitazione controllata, una grande dose di ironia: un duro dal cuore tenero
Giuliano Gemma

Un incidente d’auto, a Civitavecchia.  A 75 anni Giuliano Gemma se n’è andato. L’avevo visto, poco tempo fa. Era gioviale, sereno, ancora atletico, con una gran chioma bianca, ordinata, e un lampo negli occhi buoni. Un eroe del nostro cinema, che ha passato tutti  i generi. Lo nota, giovane pompiere che fa anche lo stuntman, Duccio Tessari, lo prende nel filone del peplum nel 1962 in Arrivano i Titani: è Crios, re giovane biondo, che fa sognare le ragazze ed ironizza sul filone. L’anno dopo è anche Maciste, l’eroe più forte del mondo. Sull’onda degli spaghetti-western, il genere inventato da Sergio Leone, diventa il vendicatore buono Ringo, all’inizio sotto lo pseudonimo di Montgomery Wood: volto immobile, recitazione controllata, una grande dose di ironia. Un duro dal cuore tenero, insomma e il filone funziona. Gemma diventa popolare.

Ma l’attore romano penetra anche nei film più impegnati: è un capitano nel Gattopardo di Visconti e soprattutto un soldato che attende invano l’attacco e la gloria nel capolavoro di Zurlini (1976) Il deserto dei Tartari, dove forse mostra la sua prova attoriale più convincente.

Il fisico asciutto, l’espressione leale, lo vedono nel ruolo di un commissario antimafia deciso ne Il prefetto di ferro, Corleone, dove a muso duro entra in situazioni drammatiche così come quando Ringo cavalcava le praterie spagnole (che simulavano il West).

E all’amato genere “pistolero” ritorna nell’85 in Tex e il signore degli abissi, versione filmica dell’eroe degli album di Bonelli, in cui l’unico difetto è la mancanza del doppiaggio (Gemma aveva una voce nasale, poco felice).

Negli ultimi anni si era dato alla fiction, ma non aveva dimenticato certo cinema d’essai come nel film di Zaccaro Un uomo d’onore.

La sua immagine resta però legata indissolubilmente all’epoca degli  spaghetti-western, anche in salsa divertente (con Bud Spencer nel classico Anche gli angeli mangiano fagioli del ’73).

Se n’è andato un divo nostrano gentile, capace di autoironia mai cattiva, di una recitazione misurata e con la faccia da eroe onesto, dinamico e sognante sulle praterie del West o nel castello in attesa inutile dei Tartari.

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