La scelta secessionista della Crimea

Risultati assolutamente prevedibili, anche se non verificabili: il 96,6 per cento dei votanti (circa l’80 per cento degli elettori iscritti alle liste) ha votato l’adesione alla Federazione russa
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Nulla di particolarmente inatteso sembra essere emerso dalle urne della penisola della Crimea, che ieri ha votato a larghissima maggioranza la secessione del loro territorio dall’Ucraina. Una terra a stragrande maggioranza russa ha ritrovato in qualche modo l’adesione alla madre patria, quella Russia dalla quale si era staccata nel 1954 per il “regalo” fatto da Krushev alla terra d’origine dei suoi avi.

Apparentemente, come sostiene Mosca, si è solo confermato un desiderio della stragrande maggioranza della popolazione (tatari e ucraini esclusi), che non si sente più rappresentata dal nuovo governo filo-occidentale insediatosi a Kiev dopo il massacro della Piazza Indipendenza, la Majdan, e la fuga dell’ex-presidente Yanukovich. La calma sembra regnare a Simferopoli e nella città a statuto speciale di Sebastopoli. Anche l’Est del Paese sembra relativamente tranquillo, non ci sono stati incidenti tra partigiani filo-russi e partigiani filo-ucraini.

Le diplomazie continuano a lavorare, ma la tensione sale: se Obama riesce ancora a parlare al telefono con Putin, la Ue dovrebbe in giornata stabilire le prime ritorsioni commerciali verso la Federazione russa, mentre tutti sperano che con la prossima annessione della Crimea si fermino le mire espansioniste della Russia. Nessuno in Europa e Oltreatlantico pensa che valga la pena di morire per Simferopoli e per una terra che nei fatti era già russa, o quasi.

L’esercito ucraino non appare minimamente in grado di competere con il Grande Fratello russo, se non per gesti “eroici” destinati al fallimento. A Kiev c’è chi invoca a gran voce di tagliare i rifornimenti di gas, elettricità e acqua (la penisola è totalmente dipendente dalla vena giugulare ucraina), come ritorsione per il risultato di un referendum da loro considerato totalmente illegale e anticostituzionale. Un tale atto, tuttavia, con ogni probabilità provocherebbe uno sconfinamento dei soldati russi, per permettere un approvvigionamento che è vitale per la Crimea.

Nei fatti appare evidente come Russia e Europa siano ormai troppo legate e interconnesse per poter pensare a misure drastiche di separazione, che provocherebbero non pochi sommovimenti economici al di qua e al di là delle frontiere della Federazione russa. La diplomazia è “condannata” a continuare a tessere i suoi fili, anche se i diversi contendenti debbono poter “salvare la faccia” in qualche modo: la Russia annettendo la Crimea, l’Ucraina preservando la sua integrità territoriale “continentale”, l’Unione europea stabilendo qualche “minore” misura d’embargo, gli Stati Uniti tuonando, a parole, contro la vena espansionista della Federazione russa.

Più di una domanda si fa largo sull’azione un po’ leggera, se non addirittura avventata, della forza statunitense nella regione: sembra quasi che Washington abbia scatenato la crisi ucraina – nessuno può nascondere, ormai, la fattiva presenza Usa accanto ai giovani della Majdan – per riprendere il filo diretto con Mosca, escludendo l’Ue dalla questione geostrategica. O piuttosto per ritornare ad avere un “nemico”: è più facile condurre una politica estera “contro” che “per”. Analogo interesse sembra avere in questi frangenti la Russia di Putin, che vuole ricostruirsi una “cintura di sicurezza” attorno al proprio vastissimo territorio.

Sperando che le pressioni militari non prendano la mano ai diplomatici, val la pena sottolineare quanto va ripetendo con grande lungimiranza Romano Prodi: «L’Ucraina non può essere né russa né europea: l’idea che possa essere o dell’uno o dell’altro è assolutamente folle». Certo, la sfida è aperta: l’Ucraina e i suoi giovani debbono essere messi in condizione di essere indipendenti, liberi, non essendo schiavizzati né sotto tutela di alcuna forza straniera.

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