La scelta di Dio
È il 17 luglio. […] Martin indossa pantaloni, casacca, spadino, mantello e berretto da dottore. Prende la sacca con i vestiti, e i libri, ovviamente. Un rapido segno di croce rivolto al crocifisso scheletrico e insanguinato collocato sopra il letto, ed è già fuori.
Sulla strada stanno giungendo, uno dopo l’altro, gli amici. Hanno l’aria triste. Lutero invece no, cammina in fretta, sembra divorato dall’ansia di arrivare presto al convento. […]
La porta sud del grande convento degli agostiniani si apre. Gli amici si abbracciano, commossi. Poi, Martin sparisce dietro il portone. Un frate converso lo accompagna dal priore, padre Winand.
«Dunque, voi, magister – inizia costui, avvolto nel lungo mantello scuro, dopo aver recitato insieme con Martin il Pater noster –, volete entrare nel nostro ordine. Ne siete sicuro? Avete una carriera promettente di fronte a voi… Non sarà per qualche delusione o paura che pensate di vivere qui tra noi?», continua il priore con un tono severo.
«No, voglio seguire Cristo in una via di perfezione – risponde Martin –, liberarmi dal peccato, e prometto di impegnarmi sino alla fine». «Intanto, farete una confessione generale e poi vi accoglieremo per alcune settimane di prova, per esaminare la serietà della vostra vocazione. Se resterete poi tra noi, potrete diventare veramente un homo novus», conclude il priore.
Martin bacia le mani del superiore e viene condotto alla sua cella: piccolissima, un tavolo, una sedia, un candeliere e il letto. Dà sul chiostro, silenzioso nonostante vi abitino una cinquantina di monaci occupati in varie mansioni nel convento, il più importante della Sassonia, con case, campi e vigneti. La chiesa è molto ricca, in Germania.
Lutero si getta a capofitto nella nuova esperienza. Lo stile di vita è duro. Il letto di paglia ha solo una coperta, ci si alza a pregare all’una di notte: sette ore di preghiera su ventiquattro scandiscono la giornata, aperta al mattino con la messa, i pasti consumati in silenzio, i frequenti giorni di digiuno, lo studio della Bibbia, la confessione comunitaria ogni venerdì per imparare a scavare dentro la propria coscienza e a perfezionarsi nella virtù. Poi, i lavori manuali: pulire il pavimento, lavare in cucina. E andare in giro a chiedere l’elemosina. Ma Martin si abitua presto, è un uomo rispettoso delle regole e viene accolto tra i novizi. Sembra aver trovato pace, in una vita così ordinata: perfezionista, vuole essere un monaco migliore degli altri. Si confessa così spesso che il frate deve dirgli: «Non stare a guardare troppo il tuo sentirti indegno! Fidati di Cristo!». Un richiamo che tornerà nella vita del monaco.
È il settembre del 1506, Martin dovrà formulare i voti. Il priore lo manda a chiamare.
Lutero entra nell’ampia cella del religioso, si inginocchia, si rialza e poi rimane in piedi.
«Caro fratello, fra poco emetterete i voti di povertà, castità e obbedienza all’interno della regola del beato padre Agostino, fino alla morte. Siete pronto a questo passaggio che vi renderà innocente come un bambino appena battezzato?». «Sono pronto», risponde a capo chino Martin, il volto ossuto smagrito dalla vita austera, gli occhi pieni di luce.
[…]
Qualche giorno dopo, nella cappella del convento, tra il coro dei monaci, ognuno con una candela accesa in mano, Lutero indossa la tonaca scura e il mantello nero dell’ordine e pronuncia i suoi voti. Appare felice nella sua ricerca di Dio, libero dai sensi di colpa.
Il priore, padre Winand, lo nota e lo dice, mentre passeggiano sotto le volte del grande chiostro, al vicario dell’Ordine, Johann von Staupitz. «Sì, è tranquillo. Ma sapete, c’è un detto: il diavolo lascia in pace i monaci nel primo anno di convento». «Frate Martin maturerà con gli anni, io credo – continua il priore –. Certo, è un giovane molto promettente, intelligente, ama la cultura…». «E ha un amore grande per Dio – osserva Staupitz, pensieroso –. Solo, a volte temo che questo gli produca più angoscia che gioia». «Cosa dite – fa il priore, salutando con un gesto della mano un monaco che gli passa accanto – se lo candidassimo al sacerdozio? È una persona molto dotata, continuare gli studi gli farà del bene». Staupitz assente con un cenno, abbassando il capo. I due si allontanano sotto le volte. Non è una decisione scontata: in convento molti religiosi non sono preti, ma rimangono semplici fratres a occuparsi delle attività più concrete, necessarie al buon funzionamento del piccolo mondo chiuso del monastero. Martin obbedisce, e inizia gli studi di teologia.
Da LUTERO. L’uomo della rivoluzione, di Mario Dal Bello (Città Nuova, 2017)