La scelta del perdono dopo i fatti di Baltimora

Un insegnante si vede aggredita da un suo studente dopo la morte del giovane afroamericano Freddie Gray. Cosa fare: cedere alla rabbia e alle accuse o tentare una via di dialogo?
Baltimora

Da dieci anni insegno a ragazzi con bisogni speciali in una scuola pubblica di Baltimora. Molti vengono da quartieri segnati dalla povertà e dalla droga, e la maggior parte sono cresciuti con la nonna o soltanto con la madre. In alcuni casi la figura del padre è del tutto assente.

Alcuni mesi fa una parte della città è stata data alle fiamme dai manifestanti che protestavano per la morte di Freddie Gray, un ragazzo afroamericano ferito durante l'arresto e poi caduto in coma e deceduto. I negozi sono stati incendiati, mattoni e sassi sono stati lanciati contro i poliziotti, ritenuti responsabili della morte di Gray.

Mentre l'area storica di Baltimora Ovest era in fiamme, i leader religiosi cristiani e musulmani si sono uniti per marciare e pregare nelle strade, invocando il nome di Dio, Allah e Gesù Cristo secondo la fede e la tradizione di ciascuno. Il loro desiderio era quello di portare la pace in mezzo alla “guerra” tra manifestanti e polizia. Quando l'ho saputo ho chiamato il mio supervisore, che è musulmano, e entrambi abbiamo pregato per la pace in città.

Il giorno dopo 100 parrocchiani e volontari della mia parrocchia cattolica di San Pietro di Claver, situata dove hanno avuto luogo le rivolte, sono usciti per pulire le strade coperte di sporcizia, copertoni bruciati e mattoni. Era nostra convinzione che fosse compito di ciascuno fare qualcosa per riportare la pace nella nostra città.

Più tardi, mentre guardavo il telegiornale, ho notato un mio ex studente che si era unito alle proteste. E' finito in tv, essendo uno dei più giovani. Teneva in mano dei mattoni e li lanciava contro la polizia. Mi ha fatto male vederlo unirsi alla folla inferocita.

Al ritorno a scuola ci è stato chiesto di fare il punto della situazione con i nostri studenti e capire chi tra di loro fosse rimasto traumatizzato dall'entità della distruzione. Uno dei miei studenti era visibilmente confuso ed esternava continuamente la sua agitazione: dava la colpa alla polizia, e voleva unirsi alla folla nelle strade.

Il giorno dopo, mentre stavo per iniziare la mia lezione, questo studente si è alzato dal banco, ha afferrato un cestino della spazzatura e l'ha lanciato contro di me. Sono rimasta attonita per questo attacco improvviso. Un cartone di latte ancora mezzo pieno mi si è rovesciato addosso e tutta la spazzatura è caduta sul tavolo.

Si trattava di un vero e proprio attacco fisico contro la mia persona. Tutto il personale della scuola ha cercato il ragazzo, che nel frattempo aveva lasciato l'edificio  ed era andato a rubare in un negozio vicino. Il giorno dopo è stato convocato un incontro d'emergenza con un rappresentante del distretto scolastico, dirigenti, rappresentanti dei servizi e la famiglia.

 

Durante l'incontro mi sentivo combattuta tra continuare a sostenere le accuse e aprirmi al dialogo, cercando una soluzione che potesse aiutare lo studente a superare le esperienze traumatiche.

Sentivo che era necessario che provassi sulla mia pelle quell'incidente in classe per capire che cosa succedeva ogni giorno nella vita dei miei studenti al di fuori della scuola. Mi sono resa conto che Dio mi aveva messa in una situazione in cui potevo scegliere di cercare il perdono e la riconciliazione. Alla fine lo studente è stato sospeso, e gli è stato accordato un sostegno per un breve periodo al suo ritorno.

 

Dopo cinque giorni dalla sospensione sono venuta a sapere che la madre del ragazzo e i suoi cinque figli erano rimasti senza casa, e si erano così spostati in un alloggio temporaneo lontano dalla scuola. Dopo otto giorni il ragazzo si è fatto vivo di nuovo: stringeva forte al petto uno zaino, che conteneva tutti i suoi averi.

 

Avevo parlato delle difficoltà che stavo attraversando con i miei amici più stretti, che mi hanno aiutata a mantenere la rotta verso il dialogo e a mettermi nei panni dei miei studenti. Mi hanno dato la forza di accogliere di nuovo il ragazzo e vederlo con occhi nuovi. Sono anche riconoscente per il fatto di avere il sostegno di un operatore che aiuta il ragazzo a calmarsi ogni volta che ha un crollo; tuttavia, in appena due settimane già cinque avevano rinunciato, non potendo far fronte ai suoi attacchi verbali e fisici.

Anch'io devo confrontarmi ogni giorno con questo comportamento difficile, ma mi dà fiducia il fatto che gli altri studenti ignorano le sue “esplosioni” e come me hanno reagito con gentilezza e accoglienza.

Traduzione a cura di Chiara Andreola

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