La santità ai tempi di Internet
25 settembre 2010: Chiara Luce Badano proclamata beata. Un’indagine sulla santità oggi.
Quando si parla di santi, l’immaginario collettivo va a processioni, ceri e statue. La devozione di alcuni viaggia in parallelo allo scetticismo e all’indifferenza di molti perché la santità, oggi, apparentemente ha ben poco da dire. Per lei è diverso. Impazzano i siti Internet, i video su Youtube, i musical. Ha un profilo su Facebook e sulla sua tomba, peluche e messaggi strabordano. Chiara Luce potrebbe essere quel compagno di classe, quel simpaticone della comitiva, quell’amica del cuore che un giorno sono stati separati dalla nostra vita tragicamente.
Eppure la sua ordinarietà gli ha “meritato gli altari”, come si dice. Su questa ragazza di 18 anni, bocciata una volta a scuola, appassionata di tennis, vissuta tra le sospensioni e i sogni dell’adolescenza, morta di tumore, agnostici e credenti hanno scritto libri, vaticanisti pagine di blog e a breve usciranno un documentario e un film. Il 25 settembre più di 14 mila giovani si sono dati appuntamento a Roma per seguirne la beatificazione e altrettanti la seguiranno online.
Al di là dell’agiografia e delle definizioni da manuale, abbiamo provato ad indagare le ragioni di una beatificazione con alcuni testimoni della cultura contemporanea.
Il filosofo
«La parola santità ha una storia che nasce dal superamento del concetto di sacro, dove c’è una presenza di Dio, ma lontana dagli uomini. Nell’ebraismo invece Dio, il Santo, interviene, è qualcuno di infinitamente buono che si occupa del suo popolo». Antonio Maria Baggio, filosofo, docente all’Istituto universitario Sophia, non dubita che la santità sia patrimonio anche di chi non crede: «Soprattutto quando diventa sinonimo di giustizia, in profeti come Amos e Osea, dove il santo è uno che costruisce e ha misericordia. Gesù porta una rivoluzione perché la santità non è di alcuni, ma di tutti. Quindi questa presenza giusta e misericordiosa è qualcosa che anche gli uomini possono attuare e ciò è adatto alla modernità che vuole agire dentro la storia».
Ma c’è di più: «Nella Chiesa in età moderna fioriscono esempi di santità sociale, fino al martirio e sono santità che si giocano in fabbrica, nella politica, nel sindacato: da qui, ad esempio, la proposta di beatificazione per De Gasperi, Schumann e Giordani. Nella santità giovane di Chiara Luce colpisce come la sua esperienza non sia solo individuale, ma maturi insieme ad una comunità, che aiuta lei e che da lei riceve quest’esperienza di comunione con Dio. Tutto questo è possibile per il carisma di Chiara Lubich, in cui la santità è vissuta come comunione».
Conclude Baggio: «Esempi di santità sociale li vedrei anche in Martin Luther King o nel sindaco di Pollica: martiri per la funzione che ricoprivano per il bene comune. Non sempre è necessaria un’etichetta di fede, ma nell’uomo c’è un mistero di interiorità e una capacità di dono e di far “miracoli” che partono dal piccolo e non si sa dove arriveranno, perché nel mondo moderno la perfezione non è per sé, ma per gli altri».
La regista e lo scrittore
«Pensavo di raccontare una storia del passato e invece su Google ho trovato tantissimi ragazzi che si rivolgevano a Chiara Luce per chiedere una guarigione direi umana e spirituale. Una sorpresa che mi ha spiazzata». Maria Amata Calò, regista Rai, ha diretto Uno splendido disegno, il documentario che racconta della giovane di Sassello. Non è stato facile. Il materiale era scarso, la qualità delle foto scadenti e poi non c’erano atti eroici: era una vita troppo normale. «Non volevo però una fiction. Ho lasciato parlare lei e i testimoni viventi, tanti e diversi: genitori, amici, medici, e poi quelli che sono venuti dopo, che non l’hanno mai vista, ma che dicono di conoscerla e che l’incontro con lei li ha cambiati. Per le riprese, ad esempio, ho scelto un reparto oncologico pediatrico e non è facile non farsi domande: immagini Chiara, ti immagini tu in quelle storie di dolore che si consumano giorno dopo giorno».
Conclude la Calò: «Ecco, lei ha saputo dare un senso alla sofferenza, alla vita. Una ragazza fragile, consumata dalla malattia e che cerca di scoprire, dietro tutto ciò, uno splendido disegno: cambia indubbiamente la prospettiva del vivere. Anche i doppiatori, abituati alle emozioni, erano con le lacrime agli occhi».
«Credo che Chiara Luce sia il perfetto prototipo della santa “moderna”. La sua storia, e da ben prima della sua malattia, dimostra a tutti, non credenti compresi, che anche una persona assolutamente normale può arrivare a vivere una vita così straordinaria, da diventare straordinaria essa stessa», dichiara da parte sua Franz Coriasco, autore “agnostico” di Dai tetti in giù, l’ultima biografia pubblicata su Chiara Badano per i tipi di Città Nuova. «Chiara affascina per un sacco di motivi: la semplicità, la levità e insieme la coerenza e la determinazione con cui ha saputo dar sostanza alle sue scelte. Il suo approccio alla vita era l’opposto della retorica e delle chiacchiere. Il suo amore per Dio e per il prossimo era fatto di pochissime parole e moltissimi gesti: praticamente l’opposto di ciò che tutti noi siamo costretti a sorbirci tutti i giorni, dalla tv o da troppi sedicenti maestri di pensiero».
Il giornalista
«I santi sono l’unico messaggio cristiano che “arriva” davvero, dopo il Vangelo. Ma noi cristiani non li sappiamo raccontare. Facciamo i moralisti e il mondo sbadiglia». Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della sera, non è tenero con i colleghi. «I responsabili dei media ritengono noioso il cristianesimo, che invece, quando è vero, è di fuoco. Si tratta di un pregiudizio laicista e di una pigrizia culturale. Sono i nostri media a essere noiosi».
E continua: «L’umanità di oggi ha invece un grande bisogno dei pugni nello stomaco che sanno dare i santi. Se fossi un regista di cinema, il personaggio di Maximilian Kolbe lo farei interpretare da Roberto Benigni. Per Raul Follereau vorrei Antonio Albanese e una canzone su Chiara Luce la proporrei a Paola Turci: “Non è così che si fa – non è così che si fa”. Il dono che ha avuto Chiara Luce di guardare in faccia “sorella morte” potrebbe risultare dirompente se proposto con immediatezza a una generazione che con la morte gioca inconsapevolmente».
Conclude Accattoli: «La sua raccomandazione alla mamma di “stare attenta a papà” il giorno del suo funerale – cioè del funerale di Chiara – “perché, se incomincia a piangere, fa rumore e disturba” è di una veracità perfettamente funzionale e insieme di uno humor memorabile. Ogni volta che la racconto l’uditorio batte le mani».
I giovani
«Noi giovani abbiamo bisogno di identificarci in qualcuno, di avere un modello, e allora perché non uno bello e positivo?». Così spiega Gloria Di Rocco, quando racconta i motivi che l’hanno spinta a realizzare uno spettacolo su Chiara Luce assieme ad altri quattordici ragazzi della provincia di Teramo, ora in tour per Lazio e Abruzzo. «Abbiamo ricevuto chiamate inaspettate da persone colpite dalla vicenda di Chiara che vogliono comunicarla ad altri», conclude.
Una sorta di tam-tam silenzioso, ma non troppo, che rischiara gli animi e spinge a diffonderne la storia. Come per suor Carla Venditti: «Ho proposto la storia di Chiara in alcuni incontri di giovani, perché ho visto in lei quella semplicità e quella forza che cerchiamo quotidianamente in mille situazioni. La sua beatificazione è un grido all’umanità». E Barbara Piu, tra le protagoniste dello spettacolo del 25 sera in Vaticano: «La giovane Badano mi ricorda che puoi vivere con coerenza e radicalità. Chiara stessa ci dice: “Io l’ho fatto, si può”. E in questo rimane indubbiamente un modello. Noi stessi ci accorgiamo che è proprio lei a tirare le fila di tutto questo evento».
Una persona realizzata
Intevista a Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari.
Chiara Luce Badano è la prima giovane del Movimento dei focolari a essere proclamata beata. Cosa significa questa beatificazione?
«È Gesù nel Vangelo che ci chiede di non mettere la luce sotto il moggio, ma di far luce a tutti quelli che sono in casa, e gli uomini, vedendo le opere buone, rendano gloria al Padre che è nei Cieli (cfr Mt 5,13-16). È quanto sta succedendo in vista della beatificazione di Chiara Luce. Quanti giovani hanno sprigionato la loro fantasia per comunicare ai loro coetanei la straordinarietà nell’ordinario della vita di questa ragazza della loro generazione, con canzoni, brani teatrali, musical! Per non parlare della diffusione su Facebook, Youtube, Twitter. Le prenotazioni di persone che intendono partecipare agli eventi della sua beatificazione stanno superando ogni previsione. Sono “segni” che ci dicono quanta ricerca c’è nei giovani, e non solo, di punti di riferimento, di modelli credibili. Questo evento, poi, ci apre il cuore alla gioia anche perché è una conferma da parte della Chiesa cattolica che la spiritualità dell’unità vissuta può portare alla santità».
Come mai il processo di beatificazione ha riguardato solo Chiara Luce e non le tante persone che hanno vissuto il carisma di Chiara Lubich fino alla fine? Sono state meno perfette?
«Chissà quante persone di ogni età vivono il cristianesimo in grado eroico sui fronti più difficili! Solo Dio sa. Chiara Lubich seguiva con amore speciale chi si avvicinava alla meta. Non di rado dopo la loro “partenza” ha esclamato: “Questo è proprio un cristiano realizzato!”. E come aveva a cuore che si scrivesse un profilo di ciascuno, perché la sua esperienza continuasse ad aiutare ognuno di noi a vivere con autenticità il Vangelo. Nessuno di noi, Chiara Lubich per prima, ha mai pensato di promuovere cause di beatificazione. L’iniziativa è sempre venuta dal vescovo cattolico della diocesi in cui è deceduta quella persona. Non ci siamo mai chiesti perché questo e non quello. Ciò che importa è corrispondere con generosità all’amore personale che Dio ha verso ciascuno di noi».
Santità è sinonimo di perfezione, una categoria che distingue e separa.
«Gesù non aveva detto: “Siate dunque perfetti, così com’è perfetto il Padre vostro che è in cielo”? Tendere alla perfezione, quindi, è una precisa volontà di Dio per tutti i cristiani. L’ha ribadito il Concilio Vaticano II. Ma è vero che in passato si sono create distinzioni e categorie. “Pareva che la santità fosse riservata solo a suore, religiosi e preti e agli sposati fosse riservata un’altra sorte”, osservava Igino Giordani, figura di spicco della cultura del Novecento italiano. Quanto ne aveva sofferto! Con ironia parlava di cristiani di serie A, sacerdoti e religiosi, chiamati ad “uno stato di perfezione” e di cristiani di serie B, i laici, che vivevano in “uno stato di imperfezione”. La grande scoperta di Chiara, sin dagli inizi, è stata quella di aver trovato nella volontà di Dio la carta di accesso alla santità per tutti: dall’operaio allo studente, dal deputato alla casalinga. Giordani, dopo il suo primo incontro con Chiara in Parlamento, così esprime la sua sorpresa: «Essa metteva la santità a portata di tutti; toglieva via i cancelli che separano il mondo laicale dalla vita mistica. Metteva in piazza i tesori d’un castello a cui solo pochi erano ammessi».
Nei nostri tempi la santità non è un concetto superato e antico?
«Non è sentita quella santità che richiama fenomeni straordinari sperimentati dai santi lungo i secoli, come estasi, miracoli, dure penitenze. Perché è un’immagine lontana dalla vita della gente di oggi. Ma la Parola di Dio continua a interpellarci: “Siate santi, perché Dio è santo”; “È volontà di Dio la vostra santificazione”… In questo nostro tempo si aprono strade nuove: santi insieme, santità di popolo. Significa amare l’altro come te, se tendi alla santità devi volerla anche per gli altri. Ne parlava Paolo VI, come ricordava Chiara Lubich: “In questi tempi ormai l’episodio isolato deve farsi costume, il santo straordinario cede il posto in certo modo alla santità di popolo, al popolo di Dio che si santifica”. Chiara Luce non si è fatta santa da sola, ma insieme ai genitori, a Chiara Lubich, insieme ai giovani che hanno condiviso il suo stesso ideale evangelico, vivendo senza sconti, nelle piccole cose, sino ai traguardi più arditi della malattia, la fedeltà a Dio amore che aveva scelto sin da piccola».
A cura di Gabi Ballweg di Neue Stadt
Una biografia di luce
Chiara Badano nasce il 29 ottobre 1971 a Sassello, in provincia di Savona. Una ragazza bella, sportiva, gioiosa e volitiva. Sogna di diventare hostess, poi si orienta alla medicina. Una vita fatta di successi e insuccessi. In IV ginnasio la bocciatura, subìta come ingiustizia, poi la delusione del primo amore. Chiara impara fin da piccola a fare di ogni ostacolo una pedana di lancio, vivendo con autenticità il Vangelo. A nove anni la scoperta di Dio amore. Si impegna tra i più giovani del movimento, le gen. A loro Chiara Lubich aveva lanciato una sfida: «Essere una generazione di santi». Chiara Badano vi crede. A 17 anni, un dolore acuto mentre gioca a tennis. La diagnosi: un tumore osseo tra i più dolorosi. Alla notizia seguono 25 minuti di lotta interiore, poi il suo sì deciso a Gesù. Non si volta più indietro. Perde l’uso delle gambe. Ad ogni nuova “sorpresa” della malattia: «Per Te, Gesù, se lo vuoi Tu lo voglio anch’io!».
A causa di una grave emorragia, è in pericolo di vita. I medici sono titubanti: intervenire o lasciarla morire? Chiara vivrà ancora un anno. Negli ultimi mesi ha pochissime energie, ma rimane serena e forte. Dice: «Non ho più niente, ma ho il cuore e con quello posso amare». Chiara Lubich, le dà un nome nuovo: «“Chiara Luce”. È la luce di Dio che vince il mondo”!». Rifiuta la morfina: «Mi toglie lucidità, e io posso offrire a Gesù solo il dolore».
Il 7 ottobre 1990 muore, dopo aver curato ogni dettaglio del suo funerale, la sua «festa nuziale»: canti, preghiere dei fedeli e il vestito bianco da sposa.
Il vescovo, mons. Maritano, che l’aveva conosciuta personalmente, ne coglie il valore per i giovani e la Chiesa, e porta avanti la causa di beatificazione, con un iter di circa 10 anni. Il 25 settembre 2010 la beatificazione.