La santa Sede, l’Onu, gli Usa.
Ai tempi della decisione statunitense di muovere guerra contro l’Iraq, la Santa Sede, sia attraverso dichiarazioni ufficiali da Roma, sia per mezzo dell’osservatore ufficiale all’Onu, S.E. mons. Celestino Migliore, si era opposta a quella guerra, osservando che la strada delle misure alternative alle armi non era ancora stata percorsa fino in fondo. Oggi, alle prese con le drammatiche difficoltà del ristabilimento della pace in Iraq e dopo la visita del presidente Bush in Vaticano, come valutare le posizioni di allora? Ne parliamo con mons.Migliore. Mons. Migliore, la Santa Sede ha sempre fortemente sottolineato il ruolo dell’Onu nella risoluzione dei conflitti internazionali e nella promozione della pace, nonostante l’Onu abbia incontrato, in questi ultimi anni, molte difficoltà e sia soggetta a critiche: che cosa vede, nell’Onu la S. Sede? Come pensa che l’Onu potrebbe sviluppare le sue potenzialità? Vi vede, come è stato detto più volte, uno strumento credibile per mantenere e rafforzare la pace, perché ormai dotato di un patrimonio di regole giuridiche e di meccanismi di controllo e di verifica in grado di far fronte a molte situazioni di emergenza, anche inedite. D’altra parte, però, si è anche coscienti che una regolazione per via esclusivamente giuridica della politica internazionale non sembra del tutto possibile. Occorre che l’Organizzazione delle Nazioni Unite evolva a grandi passi da istituzione di tipo per lo più amministrativo – dove, cioè, ogni questione viene negoziata prevalentemente alla luce degli interessi nazionali – a quello di centro morale, largamente ispirato ai criteri di sussidiarietà e di solidarietà. Di recente la Santa Sede ha definito in modo formalmente nuovo la sua partecipazione all’Onu, ma continua a non volere esserne un membro: perché? Essenzialmente perché essa ha interesse a seguire e partecipare ai lavori dell’Onu più nel suo aspetto di tribuna mondiale che non in quello di seggio della global governance. Nei suoi interventi che precedettero l’inizio della recente guerra in Iraq, lei sosteneva, esponendo la posizione della Santa Sede, che esistevano ancora spazi per il lavoro diplomatico; oggi, alla distanza, come giudica la situazione di allora? Anche il senno di poi non lascia molto spazio: i risultati delle varie commissioni di inchiesta non sembrano confermare le evidenze e l’inevitabilità allora addotte per ricorrere alla forza armata. Ma non è questo il solo punto. La posizione pacificatrice del papa ha trovato larga eco nell’opinione mondiale proprio perché mirava a richiamare ogni parte ad un soprassalto di coscienza, di fronte alla sproporzionata distruzione morale, fisica e materiale che la guerra innesca, ed a un soprassalto di responsabilità che esige più d’una correzione di rotta, da parte di tutti, nella gestione della vita nazionale e internazionale. Ritiene che si possa ritornare ad una piena collaborazione fra gli Usa e l’Onu? E l’Unione europea potrebbe in qualche modo facilitare tale processo? Indubbiamente ne vediamo i primi segni, anche perché se per far la guerra bastano due contendenti, per ricucire la pace ci vuole poi l’apporto di tutta la famiglia umana. È una delle laboriose lezioni delle ultime Risoluzioni Onu sulla questione Iraq. Quanto all’apporto dell’Europa, molti osservatori internazionali hanno apprezzato la saggezza dell’auspicio rivolto dal papa al presidente Bush nella sua ultima visita in Vaticano: Una più profonda e più piena intesa tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa potrà certamente giocare un ruolo decisivo nella risoluzione dei grandi problemi con cui oggi l’umanità si confronta. Possa la sua visita, signor presidente, dare un forte e rinnovato impulso a questa cooperazione.